RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Fatma Saïd al Petit Palau

Il giovane soprano egiziano Fatma Saïd, sempre più in vista, si presentava alla sala da camera del Palau de la Musica con un programma parecchio modificato per la difficoltà di fare le prove dovuta alla pandemia. Era più tradizionale di quando si era presentata per la prima volta a Barcellona il passato mese di ottobre al Life Victoria della Fondazione Victoria de los Ángeles. Qui lo ha fatto in collaborazione del Palau con la Associazione Schubert. L'accompagnava Malcolm Martineau il cui intervento è stato davvero fantastico e ha fatto salire molto il livello del recital. Perché, se il programma sembrava un po'eterogeneo (ma si capisce con quelle restrizioni) non aiutava alla concentrazione. Ed il soprano dimostrava sì di avere le carte in regola per un recital di questo tipo, ma non sembrava troppo ispirata. Bella presenza, eleganza, simpatia, con tanti brava e applausi e anche dei fiori e delle grida nella sua lingua che la facevano sorridere. Voce di non troppo volume, proiezione buona, stile adeguato, tecnica corretta, bellissime le mezzevoci, gli acuti buoni anche se in apparenza limitati in estensione con un po' di vibrato metallico in zona estrema non molto richiesta, grave naturale non troppo bello né pieno ma senza esagerare e sufficiente al limite. Appunto il brano più bello e interessante in assoluto (non credo che l'avesse cantato prima) è stato una canzone da camera del compositore conterraneo Adbel-Rahim.

Personalità o esperienza vitale facevano sì che i momenti più riusciti fossero i pezzi frivoli o ironici di Poulenc e Ravel, e tout gai, l'ultima delle cinque melodie greche, era anche il più comprensibile ed azzeccato. Ma quando una canzone solo in apparenza ‘superficiale' come Hôtel del primo ci riportava alle interpretazioni tutt'altro che superficialo della Crespin o, oggi stesso, dell'Antonacci, venivano al pettine le limitazioni dell'approccio di quest'intelligente artista, e ancora di più quando, fuori programma, ci dava la sua versione de Les chemins de l'amour. Non diciamo quando si confrontava con pagine ‘orientali' o simili del Lied romantico tedesco, con Widmung di Schumann piuttosto piatta e una Suleika di Mendelssohn buona; gli altri di entrambi gli autori corretti ma non rilevanti. Meglio la melodia di Bizet (Adieux de l'hôtesse arabe) dove, senz'arrivare al livello della sua articolazione del tedesco (gli studi li ha fatti in Germania) la pronuncia migliorava rispetto a Ravel. Una bella sorpresa è stata la padronanza della lingua castigliana, con lavori di Nin e Obradors – la più nota, di quest'ultimo, El cabello más sutil resa bene ma senza la suprema fusione di sentimento e bellezza vocale delle versioni di riferimento di De los Ángeles o Berganza. Meglio ancora le arie di zarzuela: canzone di Marinela (da La canción del olvido, di Serrano) e di Pastora (da La patria chica di Chapí) e, fuori programma, il difficile Zapateado da La tempranica di Giménez che neppure in questo caso (in particolare nei facili – in apparenza – ‘ay!') sfuggiva al ricordo delle signore di cui sopra.

Jorge Binaghi

2/6/2021

La foto del servizio è di Silvia Pujalte.