Spartacus di Aram Khachaturian
al Bellini di Catania
La figura di Spartaco rappresenta da circa due millenni l'emblema del ribelle al potere costituito, al punto che tale nome sintetizza semanticamente ogni atteggiamento di aperta rivolta contro le istituzioni dominanti e come tale ha avuto riscontro storico specie nei secoli più recenti. Il suo nome è divenuto simbolo dei rivoltosi, di coloro che scelgono sempre e comunque di operare secondo il celebre motto: «Meglio un giorno da leoni che cento da pecora», di coloro che preferiranno sempre spezzarsi piuttosto che piegarsi. La fulgida personalità del guerriero trace che dopo aver militato nelle truppe ausiliarie romane diviene poi schiavo, gladiatore ed infine capo di una fiera rivolta, ha stimolato la fantasia di musicisti, a partire da Giuseppe Porsile col suo Spartaco del 1726 per arrivare a quello di Pietro Platania del 1891. Così come dalla tragedia di Ippolito Nievo del 1857 al romanzo di R. Giovagnoli del 1874 al romanzo dello scrittore americano Howard Fast del 1952, che ispirò a sua volta il celebre capolavoro cinematografico di Stanley Kubrick, avente come protagonista un appassionato e volitivo Kirk Douglas.
Non bisogna dimenticare come non solo il mondo dell'arte ma anche quello della politica ha eletto il trace ribelle a simbolo di rivolta. Infatti nel 1915 in Germania venne costituita la Spartakusbund (Lega Spartaco) da Karl Liebnecht e Rosa Luxemburg, annientata definitivamente dalle truppe governative tedesche il 13 gennaio del 1919 assieme ai suoi due capi che vennero barbaramente assassinati. Il compositore sovietico Aram Khachaturian, assumendo il personaggio proprio nella sua particolare valenza rivoluzionaria più che meramente ribellistica, rivestì di note il libretto stilato da Nikolay Volkov e lo tradusse in termini assolutamente ideologici elevando l'eroe eponimo ad icona di tribuno del popolo: «Ho concepito Spartacus come una monumentale narrativa dell'antica rivolta degli schiavi per la difesa della libertà dell'uomo».
Composto nel 1954, in pieno clima di guerra fredda e in coda alle persecuzioni maccartiste in America contro il comunismo, il balletto Spartaco in quattro atti e nove quadri fu presentato al pubblico per la prima volta il 27 dicembre del 1956 al teatro Kirov di Leningrado riscuotendo un successo immediato di pubblico e di critica; fra le sue pagine più celebri e note sono la “Danza di Egina”, la “Scena dei Baccanali”, la “Chiamata alle armi”, ma in particolare spiccava fra tutti l'affascinante Adagio che evidenzia, rimarca, sottolinea e mette in quasi scultoreo risalto gli incontri amorosi fra Spartacus e Phrygia.
L'edizione presentata al Turno A di martedì 7 giugno, con repliche fino al 12, al Teatro Massimo Bellini di Catania dalla Compagnia Pilsen Opera Ballet ha evidenziato vigore, grinta ed energia, sia per quanto riguarda la coesione dell'intero corpo di ballo sia per la spettacolarità della messa in scena. Infatti regia e coreografie di Jiri Pokomy si rivelavano alquanto congeniali al soggetto ed al suo sviluppo, esaltando al massimo il dinamismo dell'azione e la sua prorompente forza emotiva, alla quale ha contribuito l'esaltante musica di Aram Khachaturian, diretta con piglio tanto severo quanto preciso e autorevole dal grintoso maestro Norbert Baxa conduttore dell'orchestra del nostro teatro, quest'anno in brillante e ottima forma. Per quanto cupe, asfissianti e claustrofobiche le scene si rivelavano molto adeguate e congruenti allo sviluppo dell'azione. A contribuire non poco alla complessiva riuscita della spettacolo non erano estranei il gagliardo e prestante Richard Sevcik, uno Spartacus a tutto tondo pieno di travolgente passione umana e civile. Jarmila Dyckova ha fornito di Phrygia un'interpretazione piena di fascino, avvenenza e grazia, mentre Martina Diblikova porgeva molto bene la sua sensualità ed il suo fascino corporeo al personaggio della cortigiana Aegina. Miroslav Hradil è riuscito a proiettare su Crasso tutta l'arroganza e la superbia tipica dell'uomo di potere afflitto da quello che uno psicologo chiamerebbe disturbo ecolalico, vale a dire prepotenza e iattanza con i più deboli ed infingardia, slealtà e mancanza di coraggio con coloro che non lo temono. Di particolare rilievo anche le prove offerte da Michal Kovac (Harmodius) Petr Brettschneider (Oinomaios), Pavel Trucka (Kleon) e Jiri Zalud (Batiatus). Moltissimi e calorosi gli applausi ed i consensi del pubblico presente.
Giovanni Pasqualino
8/6/2016
La foto del servizio è di Giacomo Orlando.
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