Milano
Una sposa per uno zar inesistente
Meglio la nuova traduzione del titolo che quella di un tempo (La sposa dello zar). In quest'opera di Rimskij-Korsakov, come in tante altre del tempo, lo zar aleggia sempre su tutti ma non lo si vede mai o, se compare, non canta ed è una presenza fugacissima. Da questo fatto è partito il sempre polemico Dmitri Tcherniakov per inventarsi una storia su un filmato (più tivú che cinema a quanto sembrerebbe) con tanto scambio di posta elettronica durante la sinfonia iniziale; un vero peccato, perchè a scapito della magnifica interpretazione di Daniel Barenboim e dei professori dell'orchestra scaligera, che qui come altrove, e molto correttamente nel caso preciso di quest'autore e di quest'opera, non è stata mai una dimostrazione di ‘energia russa', meritando pienamente la grande ovazione all'inizio della seconda parte e alla fine dello spettacolo.
Come al solito con il regista, i dettagli poco felici od eccessivi del forzato aggiornamento vengono in molte occasioni compensati da un'eccellente direzione degli artisti –coro incluso, i cui interventi, a parte qualche imprecisione nella scena iniziale della festa maschile, sono stati molto buoni, sempre sotto la guida dell'ormai mitico Bruno Casoni.
Bisogna praticare un distinguo tra i cantanti. Al livello più alto vanno lodate la protagonista e l'antagonista: Olga Peretyatko, una dolente ma contemporaneamente molto espressiva Marfa, di canto immacolato malgrado qualche estremo acuto troppo vibrato, e la temperamentosa Ljubasa di Marina Prudenskaya, che almeno per ora dovrebbe limitarsi al solo repertorio russo, assai ricco per un mezzosoprano. Il colore della malinconia e l'applauso della nostalgia si fanno vivi nel ritrovare la stupenda Anna Tomowa-Sintow nella diffícile benché episodica parte di Domna Saburova, benché niente aggiunga alla sua fama.
Anatoli Kotscherga ha ancora del volume da vendere ed il timbro è quasi intatto, ma gli estremi – in particolare l'acuto – sono diventati problematici e l'intonazione è precaria; i suoni fissi poi non giovavano per niente alla meravigliosa aria del basso (padre della protagonista) all'inizio dell'ultimo atto. Tra i signori, dunque, il migliore, seppure con un'emissione rigida in zona acuta e generalmente ingolata, era il maturo e disperato Grjaznoj del baritono Johannes Martin Kränzle (il personaggio che per ostinazione e dispetto provoca la rovina di tutti, perfino di sé stesso). Tra i tenori impressionava più favorevolmente Stephan Rugamer nei panni del pérfido mago Bomelij, mentre Pavel Cernoch (nel ruolo d'Ivan Lykov, quello indubbiamente più bello dal punto di vista del canto) dimostrava poca esperienza come interprete e ancora meno flessibilità e capacità di sfumare nella linea vocale. Molto interessante il boiardo esecutore della volontà dello zar, il basso Tobias Schabel.
Il pubblico, che non riempiva la sala del Piermarini, non si mostrava molto convinto negli applausi (c'era qualche protesta rivolta al regista di questa coproduzione con Berlino) tranne nel caso già citato del maestro Barenboim e delle tre signore di cui sopra.
Jorge Binaghi
16/3/2014 Le foto del servizio sono di Brescia/Amisano - Teatro alla Scala.
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