Stiffelio secondo Graham Vick
al Verdi Festival 2017
Strepitoso allestimento di Stiffelio al Verdi Festival ideato da Graham Vick nell'insolita cornice del Teatro Farnese, insito nel complesso della Pilotta. Il secondo titolo del Festival è da sempre considerato opera minore del compositore di Busseto, anche se negli ultimi anni vanta una discreta riproposta a livello internazionale. Stiffelio è un'opera lirica in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, rappresentata in prima assoluta il 16 novembre 1850 al Teatro Grance di Trieste. Il soggetto è basato sulla commedia francese di Émile Souvestre ed Eugène Bourgeois, Le Pasteur, ou L'Évangile et le Foyer del 1848. L'opera affronta il tema, per l'epoca assai spinoso, dell'adulterio, per di più ai danni di un pastore protestante, e termina con un singolare lieto fine. Lo scarso successo e le modifiche a cui le censure locali sottoponevano l'opera (nel 1851 l'opera fu rappresentata a Firenze con il titolo Guglielmo Wellingrode e il protagonista trasformato in un primo ministro tedesco) indussero Verdi a modificare radicalmente l'opera, aggiungendo il quarto atto e retrodatando l'azione al Medioevo.
Oggigiorno Stiffelio è considerata un punto di svolta nella lunga traiettoria artistica di Verdi. Tanto l'ambientazione quasi contemporanea quanto il rapporto complesso e doloroso tra la protagonista femminile e l'autorità paterna preannunciano soggetti futuri. Inoltre, la lucida e asciutta essenzialità del disegno drammaturgico e della sua delineazione musicale, intensa ma povera di sottolineature patetiche, potrebbe essere considerata carente di melodrammaticità. Lo scarso successo probabilmente è da attribuire a due elementi principali: il difficile soggetto, sovente non del tutto compreso, e la clamorosa affermazione dell'opera successiva il ben più osannato e conosciuto Rigoletto. Tuttavia, Verdi scriveva a Cesare De Sanctis: “Fra le mie opere che non girano, alcune le abbandono perché i soggetti sono sbagliati, ma ve ne sono due che vorrei non dimenticare, sono Stiffelio e La battaglia di Legnano ”. La lettera proseguiva informando il mittente che aveva già scritto a Piave in merito ad un rifacimento dell'opera, che sarà Aroldo andato in scena a Rimini nel 1857.
Si parlava già da qualche tempo di questo nuovo spettacolo di Graham Vick denominato lo “Stiffelio in piedi”, poiché la realizzazione nello storico Teatro Farnese non avrebbe previsto nessuna sedia per il pubblico. Lo stesso sarebbe stato partecipe dello spettacolo, con un cartellino con codice a barre da indossare a collare, libero di muoversi e seguire le vicende dell'opera, che si svolgeva su dei praticabili mobili. Mai si sarebbe potuto pensare che la genialità del regista ci avrebbe inserito in una drammaturgia così moderna e credibile prendendo spunto da un simile soggetto. Si salgono le scale del palazzo e tutto il pubblico aspetta l'apertura delle porte del Farnese, questo avviene appena l'orchestra inizia la sinfonia. Immediatamente ci troviamo di fronte le tanto “assurde” sentinelle in piedi, che in questi anni hanno folklorizzato le piazze italiane. Sono gli adepti della setta pseudo-religiosa cui fa capo il protagonista, Stiffelio, un pastore assasveriano. Le comparse, talune in abito ecclesiastico, ci salutano e ci danno il benvenuto. Già quest'impatto è raggelante e impressionante. I cantanti sono già disposti sui loro palchi mobili, la musica di Verdi c'invade e inizia la storia, una vicenda di cui noi pubblico siamo non spettatore, ma partecipe, quasi coprotagonista, ascoltiamo, vediamo, scrutiamo anche nelle stanze più intime. È una chiara e ferma condanna all'integralismo religioso, il quale vuole e pretende una facciata mentre nelle zone d'ombra si annidano i tentacoli della vita. Ecco dunque la giovane sposa, trascurata (anche fisicamente) da un marito più dedito alle sue prediche, conferenze religiose televisive e presentazione dei libri (con tanto di autografi), cedere alle lusinghe del bel giovane di turno. La lettura di Vick non vuole fare la morale ma scolpisce solo fatti di cronaca che sono conosciuti e riportati dai media. Assistiamo a una sorta di fiction-reality, dove si riscontrano le usuali debolezze umane. Non è vincolante il perdono finale del marito all'adultera, quando lui stesso è colpevole, ma impressionano il coro e i figuranti che attorniano il loro mentore, predicando temi come “la vera famiglia” tra uomo e donna, vituperando la teoria gender, tanto confusamente esposta. Nella setta ci sono persone che cadono in trance, altre che facendosi scudo del loro ruolo si dedicano alla lussuria, anche omosessuale, che nella scena del cimitero sarà condannata dalla violenza di altri più integerrimi. Non da meno è il ritratto che il regista fa del padre dell'adultera, uomo di antichi valori, il quale vuole e pretende che gli scandali restino in famiglia e tutto si accomodi per il bene e la salvaguardia del matrimonio e la facciata che la società deve vedere. Tuttavia, è il finale che ci lascia ancora più entusiasti, quando sulle note del perdono tutti i componenti dello spettacolo si abbracciano in una riappacificazione unitaria, tra coppie di diverso genere, attuando di colpo il senso di una società che è cambiata, anche se taluni non vogliono rendersene conto. Una lettura forte, unica, incredibilmente attuale quanto perfettamente incastonata in un libretto di un secolo e mezzo addietro, cui non è secondario l'apporto musicale della mano verdiana, il quale si adatta perfettamente. Noi spettatori siamo attoniti nel girare attorno alle scene che si sviluppano in ogni angolo della platea del teatro, il coro è o sulle grandinate o al nostro fianco e siamo coinvolti come mai c'era capitato di essere in uno spettacolo che resterà indimenticabile e di difficile riproduzione. Brillantissimi e di grande fascino teatrale i movimenti coreografici di Ron Howell, bellissimi e non banali i costumi moderni di Mauro Tinti, il quale è anche scenografo e rende alla perfezione l'idea registica con una struttura snella ma di forte impatto visivo. Le luci di Giuseppe Di Iorio contribuiscono con efficacia elettrizzante a questa lettura così particolare.
L'orchestra del Teatro Comunale di Bologna (per la prima volta al Verdi Festival) è collocata nel fondo, e a una prima visione parrebbe come distaccata dai solisti. Non è così per l'ausilio di monitor e per la grande prova offerta dal direttore Guillermo Garcia Calvo che offre non solo un supporto rilevante ai solisti, ma ci regala una lettura viva, molto intensa, ricca di colori e di grande affresco drammatico. Meravigliosa la prova dell'organico strumentale, sempre calibrato e in grande serata, come altrettanto si può affermare del Coro bolognese, diretto da Andrea Faidutti, che imprime la consueta elevata professionalità.
Il cast era di altissimo livello in tutte le sue parti. Luciano Ganci, il protagonista, è tenore sicuro e dotato di voce limpida e seducente. Molto raffinato nel fraseggio e nella ricerca di variegati colori, trova un terreno particolarmente idoneo in questo Verdi così attento al verso con un'interpretazione maiuscola. Maria Katzarava, Lina, è un soprano con grandi mezzi che utilizza in maniera molto appropriata in tutte le sfaccettature del personaggio. Da buon soprano drammatico è attenta ai segni musicali della disperazione, dell'inquietudine senza mai eccedere, attraverso un canto nitido, forte e ben calibrato nei cromatismi. Altrettanto valido lo Stankar di Francesco Landolfi, un baritono con accento nobile, morbido nel canto che rende variegato e sfumato in tutta la parte, inoltre interpreta un personaggio ragguardevole per elegante peso drammatico.
Bravissimo il giovane Giovanni Sala, Raffaele, svettante nel registro acuto e dotato di voce molto bella e ben calibrata. Emanuele Cordaro, Jorg, è un ministro dotato di voce forte e misurata che si ritaglia uno spazio importante in un ruolo secondario. Non sono da meno il bravissimo Bagloj Nacoski, preciso e musicale Federico, e Cecilia Bernini, una freschissima e svettante Dorotea.
Spettacolo di non facile realizzazione, ma le dure prove durate quasi due mesi hanno prodotto frutti eccezionali. Al termine successo trionfale per tutta la compagnia, e mai tale aggettivo è così appropriato.
Lukas Franceschini
21/10/2017
Le foto del servizio sono di Roberto Ricci-Verdi Festival.
|