Barcellona
Il ritorno della Stuarda
Maria Stuarda è arrivata molto tardi al Liceu e quasi sempre è stata il veicolo per grandi dive. Questa volta si vedeva per la prima volta la versione per mezzosoprano, scritta per la Malibran (quando si presentava con il suo vero titolo alla Scala dopo il tormentone che la fece diventare Buondelmonte alla sua prima assoluta a Napoli grazie ai regnanti di allora) ma per la compagnia alternativa la protagonista ridiventava soprano.
Il nuovo allestimento per la regoa di Patrice Caurier e Moshe Leiser si era già visto a Londra ma purtroppo altri paesi avranno il discutibile piacere di vederlo con i propri occhi: è di una bruttezza folle e se presenta qualche idea interessante – come il quadro finale, dove si accenna una critica alla pena capitale e le scemenze tipo corridoio della norte avrebbero un loro senso – non la porta fino in fondo e le incoerenze – a cominciare da quella voluta tra i vestiti d'epoca delle regine e quelli dello scorso secolo per il resto – risultano ancora più visibili e moleste. Tutti i personaggi, tranne la protagonista, quando non sanno che fare bevono; Elisabetta ha diritto anche a un delizioso pranzetto durante lo scontro con la cugina regale, cui viene gettato un pezzo di pollo e Cecil non si lascia sfuggire l'occasione d'impugnare la famosa bipenne – difatti l'ha già bell'e pronta al suo ingresso nel primo quadro.
Maurizio Benini guidava davvero bene in'orchestra del Teatro in condizioni direi miracolose, ma era il coro –i struito da Peter Burian nel suo lavoro migliore fino adesso – che otteneva un aplauso a scena aperta per il suo bellissimo contributo. L'unico elemento che in teoria risultava comune a entrambe le compagnie di canto era la brava Anna Tobella nei panni di Anna Kennedy. Ma la malattia del tenore del secondo cast faceva diventare un eroe Javier Camarena, per tre serate consecutive Leicester di eccezione, vuoi per la belleza del timbro, vuoi per la perfezione di técnica e stile.
Protagoniste erano, per la versione Malibran, l'eccezionale Joyce Di Donato (naturalmente chi aspettava sovracuti di soprano leggero o drammatico di agilità – qui abbiamo avuto di tutto e di più- sarà uscito un po'deluso: suo danno), che dava una lezione di belcanto (quali trilli, quali ornamenti), di una tecnica ferratissima, una dizione immacolata e chiarissima e un fraseggio di un'intensità única; per la versione soprano,invece, si presentava per la prima volta alla ribalta del Liceu Majella Cullagh (ben nota per le sue registrazioni per Opera Rara, che avrebbe fatto bene a tenérsela ben stretta), di canto e figura molto distinti e di un'eccellente adeguazione al ruolo benché il timbro non sia mai stato di per sé meraviglioso, ma grandissima professionista oltre alla padronanza dello stile.
Elisabetta dovrebbe venire affidata a un soprano o un falcon, soprattutto se la Stuarda è un mezzosoprano, ma la tessitura è comunque difficile e l'estremo acuto può diventare un problema, com'è puntualmente avvenuto. Silvia Tro Santafé era di uno sdegno feroce, ma molto padrona di sé stessa tranne quando vociferava gli acuti: il suo registro centrale e grave dimostrava inoltre chiaramente che pur conoscendo le regole di questo repertorio non dovrebbe frequentarlo spesso. Marianna Pizzolato, invece, una regina forse un po' sopra le righe – alla Bette Davis – ma molto intensa, era una voce più adeguata sebbene con più di un riflesso metallico in zona alta. Michele Pertusi tornava a Talbot (interpretato già nel 1992!), e saliva in cattedra con un ruolo che oggi è ben poco per lui; Mirco Palazzi era un valido cantante nel secondo cast ma mancava un po' di autorevolezza. Cecil veniva incarnato dal bravo Vito Priante, di un gelido cinismo e in piena forma vocale, e dal troppo estroverso, particolarmente sul piano vocale, Álex Sanmartí. Pubblico festante e molto numeroso.
Jorge Binaghi
2/1/2015
Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.
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