RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

HOSANNA SUPERSTAR, BIBBIA DEL MUSICAL

 

 

È la bibbia del musical.

Chissà se quei due ragazzotti inglesi (ventiseienne, all'epoca, Tim Rice, autore del libretto, poco più che ventenne il compositore, Andrew Lloyd Webber, peraltro prolifico, di lì a poco ci sarebbero stati Evita, Cats, The phantom of the Opera) si sono resi conto che da quel momento in poi, s'era alla fine degli Anni Sessanta, la loro creatura sarebbe diventata storia, leggenda, mito. Da un secolo all'altro, da un millennio all'altro.

Jesus Christ Superstar, bibbia in musica e bibbia del musical, senza tempo e senza età come testimoniano le urla da concerto pop modello Beatles al teatro Metropolitan di Catania, in sala temperatura torrida perché regolarmente sold out per la “rock opera” (così dettava la partitura di “Superstar”, ai tempi) su regia di Massimo Romeo Piparo.

Ha quasi mezzo secolo, è stata colonna sonora dell'esistenza di molti di noi (ciò che per altri è stato il geniale West Side Story di Bernstein) e da quel dì ad oggi ha vissuto sempre due vite parallele. Dal '71 a teatro (al Palace Theatre di Leicester Square, a Londra, andava in scena ogni sera per anni ed anni, Broadway non l'ha trattato certo con meno riguardo) e poi al cinema, film unico e insuperato, visto e rivisto con la stessa ingordigia di Via col vento. Norman Jewison lo consegnò nel lontano 1973 con un cast inarrivabile in cui, con Yvonne Elliman nei panni di Mary Magdalene, spiccava Carl Anderson-Judas (vero protagonista più del Messiah) e Ted Neeley nel ruolo di Jesus Christ. Il film di Jewison ebbe, oltre ad una distribuzione chimicamente magica e insuperata negli anni, l'intuizione geniale di “riempire” l'ouverture (che a teatro, almeno nelle prime messe in scena, si ascoltava come si usa nei teatri d'opera: sipario chiuso, solo direttore e orchestra) con l'arrivo sul set ancora vuoto e tutto da “vivere”, d'un pullman carico d'artisti hippy che “montano” la scena.

Un precedente decisamente ingombrante, il film di Jewison, eppure è proprio l'unico superstite cult di quella pellicola leggendaria – Ted Neeley - il tassello meno felice dell'allestimento di Piparo (che gioca fonicamente con il suo cognome battezzando la sua casa di produzione “PeepArrow”).

Chioma bionda generosa e invidiabile per i suoi 73 anni – come la voce che, lungi dall'avere gli stessi picchi da rock singer di quarant'anni fa, usa con intelligenza, giocando di rimessa e spostandosi opportunamente su ottave basse, fronteggia come può impennate e falsetti (“Get out!” di Jerusalem o “Why should I die?” in Gethsemane- I only want to say) Neeley assume costantemente una postura pittorica da Sacro Cuore di Gesù. Volto reclinato a sinistra, mani costantemente benedicenti e labbra in perenne movimento mormora preghiere al Padre e continua a fissarlo in lontananza (sembra guardare in direzione del fonico) e non esita a biascicare frasi inopinatamente aggiunte o liberamente spigolate dal vangelo (“Father, I need you now!” tra l'ira al tempio e il terrore dei lebbrosi, “I'm thirsty, where is my mother?” durante la crocifissione). Neeley-Jesus riempie di controscene un ruolo che, al contrario, deve restare asciutto e senza concessioni all'iconografia facile da immaginetta. La sua forza, all'epoca del film, stava proprio nell'essere ignaro Superstar, scollato, quasi inconsapevole della sua forza, uomo tra gli uomini. Ma, allora, dietro di lui c'era un regista come Norman Jewison; oggi, c'è un onesto metteur-en-scène, da tempo memorabile, appassionato e coraggioso alfiere del musical che ridimensionare un pezzo di storia non ci pensa nemmeno. Anzi, lo lascia libero di ansimare oltremisura prima di spirare (ad accompagnarlo c'è una didascalica sfilza di stermini: Auschwitz, Saigon, Gandhi, Falcone, Isis…) e gli concede l'onnipresenza. Eccolo, dunque, Neeley-Jesus, in benedicente processione modello Settimana Santa, c'è persino in “Superstar” che Judas dovrebbe cantare, sì, rivolto a lui ma in sua rigorosa assenza ché, nella scrittura di Rice, la Resurrezione è e deve restare un mistero.

Seppure con l'emozionata devozione verso un feticcio come Ted Neeley, maggiore apprezzamento merita, qui ed ora, il Judas di Feysal Bonciani che tiene bene testa ai vocalizzi inarrivabili di Carl Anderson il quale, com'è noto, intervenne in partitura con variazioni vocali che solo lui poteva permettersi e che Bonciani esegue tutte o quasi con risultati decisamente convincenti. È un po' meno attore, forse, ma ha la presenza scenica che Ted Neeley, invece, possiede in misura decisamente filodrammatica e se la cava bene, Bonciani, anche nella rilettura di “Superstar”. Qui non è più appeso ad una corda da trapezista calata dal cielo ma la intona nella hall del Metropolitan: “1984 anni dopo”, recita la didascalia del video che lo riprende fino al suo ingresso in sala prima di raggiungere il palco e le sue sottomesse “raelettes”.

Assolutamente eccellente Paride Acacia-Hannas, è rodatissimo e senza gigionerie, eccentrico e insinuante quanto basta, ottimo piglio da autentico “cantattore”. Non può dirsi altrettanto di Francesco Mastroianni che al registro vocale di Caiaphas, basso, conferisce troppo spesso toni al limite della caricatura. Intenso il Pilates di Emiliano Geppetti, essenziale e lirico il Peter di Mattia Braghero; gambe larghe in proscenio e via con il pezzo, il Simon Zealotes di Elia Lo Tauro rammenta un po' il tenore lirico d'antan, un tantino ovvia la drag queen di Salvador Axel Torrisi per Herod, una sorta di cugino povero di Freddie Mercury. Dinanzi a Mary Magdalene, poi, s'avverte chiaramente la differenza tra chi canta e recita (come musical impone) e chi canta, anche bene, ma canta e basta: l'avvenente Simona Di Stefano fa decisamente parte della seconda fascia.

Il Coro ribattezzato Ensemble (completo di trampolieri e mangiatori di fuoco) resta ossatura e linfa vitale dello spettacolo, nel musical come nella tragedia greca: qui, però, scambia troppo spesso lo strattone per gesto teatrale, meglio se canta, ancor meglio se danza.

Gran bella pasta di musicisti – costantemente in scena su piattaforma girevole, ora “vedette” in primo piano, ora “attori” in ombra - guidati da Emanuele Friello: è un'orchestra in sedicesimo di meno di 10 elementi tra cui Angelo Racz (tastiere), Andrea Inglese (chitarra), Stefano Falcone (batteria).

He scares me so, I want him so, I love him so canta Mary Magdalene. O, se volete: “Superstar-holic” di tutto il mondo, unitevi.

Carmelita Celi

28/3/2017

Le foto del servizio sono di Gianmarco Chieregato.