RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Due polacchi, uno strumento

Si sente quando un compositore dirige un'orchestra: vi è qualcosa in più che rende l'esecuzione più viva, più sbalzata, con un carattere differente. E il ginevrino Michel Tabachnik può vantare una carriera di tutto rispetto sia come direttore, sia come compositore: allievo di Igor Markevitch, Herbert von Karajan e Pierre Boulez per la direzione, con diverse prime direzioni assolute di opere di Iannis Xenakis, ha anche all'attivo parecchie composizioni, come Le cri de Mohim per i 700 anni della Svizzera. Proprio Tabachnik è stato il direttore del ventunesimo concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN), il 10 maggio 2018, con replica l'11, all'auditorium Arturo Toscanini di Torino, in sostituzione dell'indisposta Mirga Gražinyte-Tyla: per lui il debutto con questa orchestra. Invariato invece il programma: Prélude à l'après-midi d'un faune di Claude Debussy, Concerto per pianoforte e orchestra n°2 in fa minore Op.21 di Fryderyk Chopin e Concerto per orchestra Sz.116 di Béla Bartók.

Il Prélude à l'après-midi d'un faune nasce nel 1892-94 quale commento musicale all'Après-midi d'un faune di Stéphane Mallarmé, testo fondamentale del 1876 che consolida le basi del Simbolismo francese: un brano in cui, più che la forma, è la libera fantasia a prevalere, un galleggiare fra timbri diafani di cui Debussy, già inventore di una scrittura pianistica “iperchopiniana” e leggerissima, si dimostra pienamente padrone e che sfrutterà nel più ambizioso progetto teatrale del Pelléas et Mélisande.

Il Concerto per pianoforte e orchestra n°2 in fa minore Op.21 appartiene alla fase polacca della vita di Chopin, in cui, come ogni pianista-compositore in procinto di girare l'Europa per farsi conoscere, doveva costruirsi un suo bagaglio personale di composizioni in cui sfoggiare tutte le sue competenze. I due Concerti chopiniani sono perfetti per questo scopo, tant'è che l'orchestra, relegata sullo sfondo, sottolinea semplicemente i passaggi più drammatici e permette al solista di far riposare le mani fra un intervento e l'altro. Dei due, il Secondo Op.21 è in realtà il primo in ordine di stesura, scritto nel 1829 da uno Chopin diciannovenne, ma già in grado di dar prova di solida preparazione e spiccata sensibilità.

Col Concerto per orchestra Sz.116 ci spostiamo invece nel 1942-43 e raggiungiamo un Bartók emigrato dalla sua amata Ungheria negli Stati Uniti che scrive questa composizione per l'orchestra di Serge Koussevitzky: a partire dal titolo, è un omaggio alle varie sezioni dell'orchestra, soprattutto nel secondo movimento, intitolato “Presentando le coppie” o “Il gioco delle coppie”, in cui i fiati entrano, per l'appunto, “a due”, come se si presentassero al pubblico (ricordando in questo Pierino e il lupo di Prokof'ev). Si tratta di un brano ancora godibile in un campionario di composizioni, quello di Bartók, molto spesso percussive, poiltonali, stridenti, difficili; e c'è posto anche per una punta d'invidia, quando, nell'“Intermezzo interrotto”, quarto movimento di una struttura in cinque tempi, una melodica quasi lirica viene interrotta da una citazione distorta del tema dell'assedio della Settima Sinfonia “Leningrado” di Šostakovic, all'epoca molto popolare, soprattutto negli Stati Uniti, dato il contenuto antisovietico, a dispetto delle musiche meno conosciute di Bartók.

La prova di quel che si diceva a proposito di un direttore-compositore è stata l'interpretazione del Prélude e del Concerto per orchestra. Tabachnik ha saputo mettere in luce le pieghe nascoste delle partiture, ponendo grande attenzione ai particolari, alle dinamiche, alla forza dei crescendo e dei diminuendo, alla concertazione dell'orchestra, ottenendo dalla stessa sonorità pastose, ben amalgamate eppure con tutte le sezioni chiaramente udibili: una trasparenza che permette di cogliere la ricchezza sia del Prélude, dove, si è detto, il timbro la fa da padrone, sia del Concerto per orchestra, dove, pur cedendo alle dissonanze che un compositore iconoclasta come Bartók non poteva esimersi dall'inserire, ogni strumento viene trattato esaltando al massimo il suo ruolo: e se questo può essere più semplice in un'orchestra piccola, con le dimensioni richieste da Bartók il compito diventa giocoforza complesso. Da segnalare gli interventi del primo flauto Giampaolo Pretto e del primo violino Roberto Ranfaldi nel Prélude, notevoli per grazia espressiva.

A interpretare il Concerto Op.21 è stato chiamato Jan Lisiecki, pianista ventunenne (!) che con questa serata completa l'integrale dei Concerti per pianoforte di Chopin iniziata nel 2016 con l'Op.11 sotto la direzione di d'Espinosa: un'interpretazione energica, volitiva, in cui il fuoco e il pathos primeggiano sullo Chopin languido e anemico di cui è ricca la letteratura e l'immaginazione. Fa riflettere che tra lo Chopin che compositore dell'Op.21 e il Lisiecki esecutore passino appena due anni, uno 19, l'altro 21. Ci si può chiedere come uno Chopin diciannovenne suonasse i suoi stessi pezzi: potrebbe essere plausibile un teenager geniale che sfoghi tutta la sua vitalità su una sua propria composizione fatta apposta per farsi notare: e quindi, perché non chiudere gli occhi e immaginare che quelle note provengano da Chopin in persona? L'effetto, personalmente, è stato questo. Forse non un'interpretazione “leccata” come altre, benché la precisione e la tecnica sopraffina emergano da ogni nota di Lisiecki; ma sicuramente fresca, briosa, vitale, pur con la sospesa parentesi onirica del Larghetto, un vero notturno per pianoforte con accompagnamento di orchestra. E, se la vitalità si è mostrata nel suo lato più drammatico nel Maestoso iniziale, la conclusione è affidata ad uno scoppiettante Allegro vivace in grado di trascinare il pubblico in un lungo e fragoroso applauso. Romantico il Concerto, romantico il fuori programma: il dolcissimo Träumerei dalle Kinderszenen Op.15 di Robert Schumann. Curiosamente, lo stesso del concerto del 2016.

Christian Speranza

17/5/2018