Taobuk 2014
Nella fucina del miracolo della scrittura
La scrittura è liquido amniotico e creatura già partorita, fatta d'anima e corpo. La scrittura è respiro, nutrimento, scatto vitale. E madre e non ancella del pensiero – la scrittura – come già disse Karl Kraus a proposito della lingua. E tuttavia, prima d'ogni cosa, la scrittura è miracolo.
Lo stesso “miracolo” che permette, oggi, a noi e a tutti quanti vorranno rannicchiarsi in un pathos lungo oltre duemila pagine, di scoprire in Federico De Roberto non solo l'immenso, incontenibile autore dei Vicerè (e di tanto altro ancora) ma anche un insospettato, imperdibile, catturante, fagocitante poeta di scrittura erotica, laddove eros è ecografia letteraria di passioni e laddove passione è inebriante, esaltata “sofferenza” condivisa.
Del “miracolo” De Roberto – e di Si dubita sempre delle cose più belle, il corposo epistolario intercorso tra lo scrittore ed Ernesta Valle, curato e “accudito” da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, fresco di stampa per i tipi della Bompiani – ha detto, raccontato e recitato - complice la reviviscenza modernissima e antica di Vincenzo Pirrotta e Galatea Ranzi - Taobùk, festival e festa tout court, più che mai avvezzo al miracolo della scrittura nella sua forma più intrigante - il libro - che speriamo di conservare in corpo ed anima il più a lungo possibile, “figlio” di carta assai più carnale e sanguigno degli “uomini-libro” di Fahrenheit 451.
E, non a caso, Taobùk – presieduto con veemente abnegazione da Antonella Ferrara – declina lettere ed arti figurative in un'unica parola – cultura - facendo del Teatro antico di Taormina un gigantesco cenacolo di pietra viva e “parlante” che nel verbo vivo degli scrittori trova l'altro capo del dialogo. La IV edizione, poi - un'autentica settimana di fuoco, l'ultima del mese di settembre, con Franco Di Mare presidente del Comitato scientifico - è stata un' agorà di colori e calori diversissimi: da Pietro Grasso e le sue “lezioni di mafia” ad Alan Friedman (Ammazziamo il Gattopardo), da Giancarlo De Cataldo (Suburra) a Santo Piazzese (Blues di mezz'autunno) passando per Francesco Piccolo, Premio Strega 2014 con Il desiderio di essere come tutti nonché l'irrequieto “poeta della luce” Ferdinando Scianna con la sua mostra fotografica Visti e scritti. E Andrea Vitali (Quattro sberle benedette), Alessia Gazzola, Roberta Corradin, Nicola Piovani intervistato su “La musica è pericolosa” e financo il rocker Piero Pelù (Identikit di un ribelle). Primus inter pares ma con un palmarès in più - il Taormina Book Award for Literary Excellence – è stato lo scrittore Luis Sepùlveda.
“Si dubita delle cose che ci stanno troppo a cuore, che si teme di perderle. Ma io, Renata, io che dubito di tante cose, io ho una certezza, salda, incrollabile, superba: che l'amor tuo sarà la consolazione di tutta la mia vita”. (Federico De Roberto).
Per questo non poteva esservi titolo più appropriato e più oculato di quello scelto dai curatori che battezzano con le stesse parole dell'Autore un gioiello ponderoso e lievissimo di 318 lettere (dell'uno e dell'altra), un “Calendario” e un “Diario”, 7 biglietti senza luogo né data di De Roberto ad Ernesta Valle detta Renata perché “rinata” all'amore. Eppoi 401 lettere, 13 cartoline illustrate, 4 cartoline postali, 8 biglietti e un telegramma mandati da lei a lui. E ancora 7 lettere, 2 biglietti e una cartolina postale di Guido Ribera - avvocato messinese e marito di Renata – a Federico De Roberto.
La corrispondenza (custodita presso la Biblioteca Regionale Universitaria di Catania, fondo De Roberto – annotano Sarah Muscarà ed Enzo Zappulla) è fatta di 764 frammenti di un discorso amoroso ma più che fragment, sono lapilli, pietre rotolanti, lucidissimi e irruenti sciami sismici.
“Voglio cominciare a scriverti a Milano: sono ancora alla stazione. Scrivo con la matita, tenendo in mano un squadernino di carta; ricopierò stasera, a bordo. Respiro ancora la stessa aria che tu respiri, vedo ancora lo stesso cielo che tu vedi. E sono proprio io che parto? Io ti lascio? E' incredibile!”.
De Roberto incontra Ernesta Valle nel salotto di casa Borromeo, nel maggio del 1897 e da allora, per sei anni filati (salvo qualche “strascico” negli anni della Grande Guerra) tra i due sarà carteggio matto e serratissimo di “parole d'amore e di letteratura” come, a buon diritto, recita il sottotitolo del volume che è pura leccornia per il cuore e per la mente. O, se volete, per l'anima. Con buona pace di “Rico” a cui la parola anima non bastava se, nel novembre dello stesso anno in cui si consumava l'incontro fatale, scriveva a lei: “E non voglio neppure chiamarti Anima: l'Anima non si stringe, non si bacia, non si sugge; l'Anima è incorporea, sfugge a tutti i nostri sensi: e tu sei tutta bianca, tutta bionda, tutta morbida, tutta odorosa, tutta fresca, tutta calda, tutta armoniosa; io ti vedo, ti tocco, ti aspiro, ti odo, ti assaporo; io ti penetro in tutti i modi, tu penetri in me…”.
Epperò non smettono d'essere “parole d'amore e di letteratura” quelle che le duemila pagine dispensano con tanta noncurante e avveduta generosità, giacché consentono “di penetrare nell'officina segreta dello scrittore, nella camera oscura dell'ispirazione”, perché “le lettere illuminano le zone d'ombra di una vita per tanti aspetti misteriosa e di una produzione letteraria non comune (…). Preziosa miniera che fornisce la chiave di una più approfondita, lucida conoscenza – anche psicologica, meglio se psicanalitica – dell'uomo, dell'opera, dell'epoca”, avvertono Sarah ed Enzo Zappulla nel pregevole quanto necessario saggio “d'ingresso” al volume.
Ecco distendersi, allora, in modo sussultorio e ondulatorio, un'asse di ben altre ed alte vette tra Catania e Milano, entrambe con le loro istituzioni, le loro leggendarie sorgenti d' intelligentsija ed arte, si trattasse del “Teatro Grande” - il Massimo Bellini - o della Scala, del Circolo Artistico o della redazione del Corriere della sera.
E lei, Ernesta/Renata detta anche “Nuccia” (da femminuccia) era altro ed oltre la donna dello schermo o la musa algida e compiacente: al contrario, colta e raffinata, la Valle Ribera fu, in anni cruciali, la cruciale confidente letteraria, una sorta di editor romantica e accorta, spirituale e filosofica: con lei e con lei sola, “Rico” vuole centellinare ogni dettaglio di vita.
Le letture, specialmente. I libri scritti da altri – francesi innanzi tutto e Dostoevskij, magari – e i suoi, ancora in itinere e già bellissimi . Per Il Rosario, per esempio, per quella piccola meraviglia corteggiata, poi, dai grandi del palcoscenico che l'Autore – riferiscono gli Zappulla - motteggiava a suon di “novellina sceneggiata”, “drammettino”, “lavoretto”, ebbene per quello, la consulenza amorosa e amorosamente “scientifica” di Renata fu decisiva. “Renata, Renata, Renata: tu che hai in mano la mia felicità, tu sei anche il mio solo, il mio vero giudice: a te io voglio piacere, del tuo giudizio unicamente m'importa oramai”.
E lui, Federico, anche “rinato” in Rico, lui spesso ritenuto misogino e svogliatamente ma costantemente figlio di “mammuzza”, diventava improvvisamente e focosamente femminista, seppure a suo modo. E se Ernesta rinasceva in Renata, in Nuccia e in “gioia”, “figlia della luce”, “diletta”, “figlietta mia”, “anima mia”, “creatura mia”, persino l'alveo stesso che ospitava l' “Eletta” – la città di Milano – cangiava nome: “Che cosa vuol dire Milano? Il dizionario geografico è sbagliato: dice che è la capitale della Lombardia. Errore grave. Milano significa Renata, Amore, Gioia, Voluttà, Conforto, Pace, Sorriso, Bellezza, Tripudio…”.
Pure, duemila pagine sembrano non essere abbastanza.
Non bastano parole che “scottano” (“Io non posso scrivere passione, struggimento senza sentirmi struggere fino alle ossa dal bisogno di stringerti, di baciarti, di divorarti…”), non bastano desideri che sono imperiosi comandi d'amore (“Lasciami fare quello che voglio, leva le tue mani; se tu cerchi di schermirti con la mani te le spezzo, sai? Voglio che i miei baci siano il tuo lavacro... E quando sei svenuta, quando non puoi opporti più con le parole, allora ti faccio tornare alla vita con una carezza nuova, con una nuova voluttà”). Nulla basta se tanto “spasimo” è destinato ad estinguersi nella fuga graduale ma inesorabile di Federico da Renata: “ E che posso augurarti in questo giorno - le scriverà nel 1902, in occasione dell'onomastico di lei – Che può augurarti uno come me, al quale tutte le vie della speranza e della stessa illusione sono chiuse?”.
Sembra quasi un colpo a tradimento.
In realtà non è tradire ma tradere. E passare, offrire, confidare, affidare una memoria storica al singolare che diventa paradigma al plurale.
Si tratta, è vero, di lettere d'amore diverse dalle altre “giacché quando le leggiamo cogliamo delle intercettazioni sui nostri momenti più riservati”, come saggiamente suggeriscono gli Zappulla, appellandosi all'unicità delle epistole amorose “per la sensazione che stiamo gettando lo sguardo su qualcosa che non ci appartiene”.
Tuttavia negli “spasimi” di Rico e Renata c'è questo ed altro.
C'è, per esempio, una sorta di riabilitazione e di “ri-abitazione” di uno spazio storico mutevole e mutato che pure ci appartiene ancora, ci sono i palpiti di una Weltanschauung particolare e universale, tuttora in grado di restituirci identità, unicità, diversità.
E c'è, per una volta, la confortante onnipotenza della parola, forma e sostanza, ancora capace di offrirsi e offrire dimora di ragioni e sentimenti.
Carmelita Celi
28/9/2014
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