RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Nabucco

al Teatro Sociale di Rovigo

La Stagione Lirica del Teatro Sociale, che nel 2019 festeggia il bicentenario dell'inaugurazione, è iniziata con una bellissima produzione di Nabucco, dramma lirico di Giuseppe Verdi, ideata da Filippo Tonon. Lo spettacolo nasce da una coproduzione tra Teatro Sociale, Teatro Verdi di Padova, Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, con la collaborazione di Fondazione Rovigo Cultura, e giunge nella città rodigina come ultima tappa del progetto, cui è augurio che non sia l'arresto poiché questo allestimento merita di essere ripreso anche in altre città.

Filippo Tonon è l'ideatore unico dello spettacolo, infatti firma regia, scene, costumi e luci, e i risultati sono stati sopra le attese e con punti di stupefacente meraviglia. Il regista tende a concentrarsi sulle grandi scene d'assieme, cui dona un tocco forse oleografico d'indubbio effetto, il colore dorato predomina in ogni atto e determina lo splendore di Babilonia e Gerusalemme. L'inizio del terzo atto ha fatto sorprendere il pubblico, e solo per timore non è scoppiato l'applauso. Sui singoli, l'apporto del regista era più convenzionale, tuttavia non si può non rilevare una drammaturgia molto teatrale, con movimenti pertinenti e la staticità era in sostanza bandita, quest'ultimo un pregio non secondario poiché la lettura era tradizionale. Le scene erano uniche per i quattro atti, tre pareti ai lati, quella nel fondo con tre ingressi mobili, e un palcoscenico delimitato da pedane regolari ma poste a differenti altezze che potrebbero evocare i giardini pensili. Ricercati gli arredi supplementari utilizzati, che davano quel sufficiente tocco di diversità negli atti. I costumi erano di grande fattura e in alcuni casi addirittura mozzafiato, il che non era riservato solo alle parti solistiche ma anche al coro e ai figuranti, che con tali abbigliamenti contribuivano all'ottima visione dell'opera. Doveroso rilevare una realizzazione artistica eccezionale: il disegno luci, sempre di Tonon, il quale ha reso evidente significativamente sia ambienti sia aure teatrali, che concorrevano a cogliere le molteplici sfaccettature della narrazione. Nell'insieme uno spettacolo non innovativo e moderno, del quale non se ne sentiva proprio il bisogno, ma ben realizzato, esplicito e di forte impatto. Apprezzatissimo da parte del pubblico.

La direzione era affidata a Marco Titotto, il quale ha saputo concertare con energia e positivo mestiere, avendo a disposizione risicate prove ed essendo subentrato al collega che dirigeva a Padova in precedenza. La sua lettura è stata di solido mestiere senza eccessi sonori e sostanzialmente ben fruibile in una narrazione sostenuta, oltre a un valoroso rapporto tra buca e palcoscenico. L'Orchestra di Padova e del Veneto ha espresso la consueta professionalità, anche se non passavano inosservati alcuni sfasamenti nel settore fiati, ma nel complesso una prova più che accettabile. Molto meglio la prova del Coro Lirico Veneto, istruito da Giuliano Fracasso, che coglie in questa recita nel Polesine una delle sue migliori realizzazioni. Tutti gli interventi erano di rilevante precisione e musicalità brillante, come ad esempio alcune parti in cui interloquivano con il solista (scena con Zaccaria nel II atto), e va da sé che il celebre assolo del III atto è stato uno dei punti più alti, eseguito in piano e con un emozionante finale.

Meno rilevante il cast, nel quale non tutti i ruoli sono stati ben realizzati. Il Nabucco di Genadij Vascenko era piuttosto anonimo e seppur senza appariscenti falle mostrava un fraseggio banale, una vocalità troppo alterna e sfasata. La migliore era Gabrielle Mouhlen, Abigaille, la quale senza una voce torrenziale riusciva a tracciare un personaggio credibile ed essenzialmente puntuale, alcuni momenti nel registro grave avevano poco spessore ma il registro acuto era luminoso.

Censurabile lo Zaccaria di Ivan Tomasev, cantante con troppe lacune sia tecniche sia vocali. Marina De Liso, Fenena, si ritaglia un successo personale nell'aria del III atto, eseguita con perizia belcantistica, anche se è doveroso rilevare che questo cameo è un po' uno sfizio perché la pur brava cantante non ha una caratura vocale che le permette di emergere soprattutto negli assiemi. Convenzionale e anonimo l'Ismaele di Cristian Ricci, istrionico e ben cantato il Gran Sacerdote da parte di Carlo Agostini, preziosi gli interventi di Antonello Ceron, Abdallo, e professionale l'Anna di Chiara Milini.

Successo trionfale al termine con numerose chiamate per tutti gli artefici della produzione.

Lukas Franceschini

21/11/2018