E la vita va…
Vincenzo Rabita nacque a Chiaramonte Gulfi nel 1899: semianalfabeta, trascorse la sua vita tentando disperatamente di rimanere in Sicilia, costretto a partire prima per la guerra del 1915-18, poi per la Germania per lavorare, poi ancora una volta arruolato nella seconda guerra mondiale. Un uomo semplice, socialista nel cuore ma costretto dalla necessità a prendere la tessera fascista, sempre alla ricerca di una piccola tranquillità, di una vita normale, al riparo dai colpi della sorte. Alle soglie della vecchiaia redasse una serie di quaderni, nei quali ripercorreva, in un miscuglio di dialetto ed italiano popolare, tutta la sua vita, rivista e rivisitata con occhi disincantati, consci delle contraddizioni non solo isolane, ma italiane, anzi umane tout court.
Da questo testo, pubblicato da Einaudi nel 2007, Vincenzo Pirrotta ha tratto un'intensa pièce, Terra Matta, già presentata nel 2009 allo Stabile di Catania, e ripresa per l'inaugurazione della stagione 2015-2016 del Musco, andata in scena il 4 dicembre con repliche sino al 13. Ripresa in linea col motto che caratterizza sia la stagione del Verga che quella del Musco: Fatti non foste a viver come bruti… ma per seguire virtute e conoscenza. E le parole dell'Ulisse dantesco ben si attagliano all'Odisseo siciliano tratteggiato con maestria da Pirrotta: il suo Rabito è un uomo che vive nella tensione di un nostos che sempre si avvicina, ma soltanto per tornare ad allontanarsi, se si vuole anche un perseguitato dalla sorte, ma non più di tanti altri. Le guerre, rievocate nella loro teatrale vuotaggine, fatte come sono di vacui incitamenti all'eroismo, di ufficiali che sono i primi a non credere nell'eroismo che sbandierano; e poi il fascismo, coi suoi gerarchi come burattini che attraversano il palcoscenico caracollando attorno a Rabito con movenze meccaniche e ridicole che la dicono più lunga di tanti discorsi antifascisti; il matrimonio, la nascita dei figli, la suocera odiosa e avida; tutto questo viene visto come dal di fuori, con occhi che registrano, riflettendo, ma senza metafisiche disquisizioni morali o ideologiche. Rabito è un uomo che sconta la vita vivendo, teso ad un solo obiettivo, pratico e vitale nel senso stretto: il pane quotidiano e la salvaguardia di se stesso e dei suoi cari.
E quest'uomo che accetta dolori e piccole gioie sapendo che sono la vita stessa Pirrotta ha reso con una recitazione intensa, pregnante, sorretta da una dizione egregia e da un uso sapiente della voce: come un aedo omerico ha riletto Rabito dando la precisa sensazione di un uomo che guarda la vita dal di fuori, attore e spettatore di se stesso ad un tempo. Senza mai compiacersi, senza mai cercare la facile battuta da ripetere all'infinito solo per accattivare le risate, ha fatto anche ridere, ma di un riso pirandelliano, amaro, che subito si rapprendeva in un'ondata simpatetica per le miserie del protagonista.
Usando le tecniche del teatro espressionista e didattico, ha dato continuamente una sensazione di straniamento partecipe, raccontando e recitando insieme, sorretto da una compagine assolutamente valida di versatili attori, formata da Marcello Montalto, Lucia Portale, Alessandro Romano e Mario Spolidoro, che hanno interpretato con sicura tecnica vari ruoli.
La regia, sempre di Pirrotta, volutamente scarna e minimalista, ha mostrato come con poco si possa metter su uno spettacolo di alto livello, quando ogni singolo movimento, ogni taglio luce, affidato a Franco Buzzanca, miri coerentemente ad uno scopo che è quello dell'assoluta coerenza e cogenza della resa drammaturgica. Sulla stessa linea anche i costumi di Giuseppina Maurizi, come anche le belle musiche di Luca Mauceri, eseguite da Salvatore Lupo, da Mario Spolidoro e dallo stesso Mauceri, che hanno ben reso l'atmosfera popolare e isolana della pièce, evitando però qualunque compiacimento regionalistico e vernacolare, puntando invece sul milieu temporale e sottolineando ora ironicamente i ricordi bellici, ora con sofferta compartecipazione i momenti dolorosi, quale in particolare quello della morte della madre di Rabito, dove l'atmosfera di composta, silenziosa e rassegnata sofferenza ha reso palpabile l'umanissimo atteggiamento contadino di accettazione della vita in tutti i suoi aspetti, compreso quella della morte.
Giuliana Cutore
4/12/2015
La foto del servizio è di Antonio Parrinello.
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