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Barcellona

Tetralogia, terza puntata

Prosegue puntualmente, e ancora con due compagnie, ma non sarà così l'anno prossimo, grazie alla crisi o così dicono, l'allestimento ecologista di Robert Carsen visto per la prima volta a Colonia; il regista però ha inviato l'assistente. Il Siegfried è il titolo meno ‘popolare' di tutto il ciclo (e i posti vuoti sembrano confortare l'ipotesi), forse a ragione: tra l'altro c'è il bisogno assoluto di un autentico ‘Heldentenor', rara avis non solo ai nostri giorni.

In questo caso, dei due previsti, sono stato in grado di vedere uno solo ben due volte con solo un giorno di riposo, perchè Lance Ryan, già protagonista a Milano, non si è ripreso ancora dell'influenza: Stefan Vinke. Il tenore si è dimostrato in grado di sostenere la prova parecchio bene e in molti momenti risultava davvero interessante. Brunilda veniva affidata, come l'anno scorso, a Iréne Theorin e Catherine Foster: l'ultima con un piglio decisamente epico, l'altra con un approccio più lirico, per certi versi più sfumato ma alquanto prudente. Ripetevano anche i due Wotan. Albert Dohmen ci offriva la sua interpretazione più completa in questi tre anni, vista anche la centralità maggiore di registro del ruolo. Greer Grimsley, più giovane e ironico, imponeva la sua notevole classe, benchè con un grave un po' ingolato. Ewa Podles tornava ad essere un'Erda fenomenale per il volume e l'opulenza di centro e grave, ma l'acuto si fa sempre più difficile e stimbrato; sfortunatamente, Maria Radner, che debuttava nella parte, esibiva un grave opaco, una voce di mezzosoprano anziché contralto e volume modesto. Bene Cristina Toledo come Uccello dl bosco. Peter Bronder è uno specialista di Mime, ma se lo si compara con la sua stessa prestazione alla Scala meno di due anni fa, abusava troppo della deformazione vocale e un'interpretazione tutta sopra le righe.

Lo stesso va detto di Gerhard Siegel, con in più una voce davvero ostica ma emessa quasi sempre molto bene. Oleg Bryjak riprendeva il suo vigoroso Albericco con qualche picco esagerato, mentre Jochen Schmeckenbecher, nuovo qui in questi panni, si mostrava più riservato – anche dal punto di vista vocale. Corretto ma non di più il Fafner di Andreas Hörl ; neanche lui aveva cantato lo stesso ruolo nell'Oro.

La produzione aveva i suoi punti di forza nei primi atti mentre nel terzo le forzature erano troppe nel primo quadro e le luci poco felici nell'ultimo L'orchestra si mostrava piuttosto in buona forma e rispondeva correttamente all'accurata bacchetta del direttore musicale del Teatro, Josep Pons, che, come capita da tre anni alla prima di un Wagner, veniva puntualmente buato da un piccolo gruppo le cui intenzioni poco chiare, aldilà dell'ingiustizia relativa tenendo conto di quanto si è perfino applaudito in questa stessa sala, sotto e sopra il palcoscenico, non si sa bene se siano dovute a problemi psicologici o semplicemente a un'ulteriore manifestazione di maleducazione e d'incultura.

Jorge Binaghi

20/3/2015

La foto del servizio è di Antonio Bofill.