La Roma di Respighi
E un pensionamento
Non capita tutti i giorni di poter ascoltare l'integrale della cosiddetta trilogia romana di Respighi nella stessa serata. È quanto accaduto nel concerto di mercoledì 23 novembre 2022 all'auditorium Arturo Toscanini di Torino, protagonista l'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) diretta da Robert Trevino.
I tre poemi sinfonici dedicati a Roma sono il contributo più famoso di Ottorino Respighi (1879-1936) a quel rinnovamento musicale che, sul principiare del Novecento, voleva opporsi allo stile operistico “verista” recuperando un linguaggio strumentale mitteleuropeo, per fonderlo con la cantabilità tradizionalmente italiana. Ecco nascere allora, nel giro di una dozzina d'anni (1916-1928), Fontane di Roma (1915-16), Pini di Roma (1924) e Feste Romane (1928), tutti articolati in quattro sezioni, che si rifanno idealmente alla struttura della sinfonia classica, e tutti intrisi di suggestioni delle tendenze musicali più moderne. C'è il Mahler della Quarta (flauto e sonagli, talvolta omoritmici) e della Settima (il mandolino) in Ottobrata, così come il Mahler della Terza (episodio della cornetta da postiglione) nell'impiego della tromba fuori scena (qui il foyer dell'auditorium con le porte aperte) in Pini presso una catacomba, e ancora quello di Der Einsame in Herbst, dal Lied von der Erde, nel mormorare dei violini secondi coi legni adagiati sopra in Fontana di Valle Giulia. C'è Strauss nel violento gesto espressionista con cui si apre Circenses, molto vicino all'incipit di Elektra, seguito dalle tre trombe arretrate, qui in balconata, e c'è lo Strauss dell'Alpensinfonie (episodio del temporale) nei tromboni di Fontana del Tritone al mattino, come pure lo Stravinskij del Sacre in Circenses e in Ottobrata, mentre la Shahrazad di Rimskij-Korsakov, alla cui scuola, a San Pietroburgo, Respighi imparò a orchestrare, occhieggia dalle terzine di flauto e clarinetto e dai passaggi solistici del primo violino. Ci sarebbe financo il Gershwin di An American in Paris nelle trombe dissonanti dei Pini di Villa Borghese, che possono ricordare i clacson. Il tutto fuso in un amalgama coloristico e in impasti timbrici dalla sonorità ben poco “italiana” che all'epoca furono una vera e propria ventata d'aria fresca nel panorama compositivo italiano.
Questo e molto altro viene restituito e animato a nuova vita da Trevino e dall'OSN. Una girandola scoppiettante di timbri, di colori, di sinestesie, superbamente e vigorosamente espressi da un'orchestra che definire maiuscola è riduttivo, ove i suoni diventano colori, si fanno materici, e perfino i diversi momenti della giornata, i diversi gradi di luminosità – come per le ninfee o la cattedrale di Rouen per Monet sul piano visivo – e potremmo dire addirittura il tasso di affollamento dei luoghi trovano espressione musicale. E, seppure non sia semplice immaginare di avvicinare questi brani a dei pini o a delle fontane, che non sono propriamente oggetti “sonori” ma “rumoristici”, certo si può cogliere in astratto, come per il Don Juan straussiano, più allusione che descrizione, tutto lo sforzo di creatività e la fluidità di invenzione ritmica (libero e mobilissimo l'uso di duine, terzine, cinquine, cambi di metro, raggruppamenti e figurazioni insolite) e melodica, che non si fa scrupolo di recuperare stilemi modali per dare quel tocco di “antico”, di primordiale, oltreché timbrico, nell'uso per esempio delle buccine, qui, come normalmente succede, sostituite da trombe e flicorni. E allora, via con le Feste romane ad aprire la serata, il poema meno famoso e meno eseguito, certo il più oneroso sul piano tecnico ed esecutivo, con la sua alternanza di sezioni più avanguardiste e irriverenti e di altre più riflessive. D'altro canto è anche l'ultimo ad essere stato composto, e si fa forte dello stile ormai completamente maturo di Respighi. Un caffè all'intervallo e via con le Fontane e in conclusione con i Pini, in un ordine volutamente non cronologico del quale solo alla fine si è capito il perché. E, se è pur vero che Trevino si fa prendere la mano ogni tanto nel far prevaricare le percussioni sul resto della compagine, tale che l'effetto complessivo risultava un poco caotico e non ben messo a fuoco, è vero anche che nei passaggi più delicati e intimi – La fontana di Villa Medici al tramonto, col suo sfumare delicato a imitare una nuance vespertina, i Pini presso una catacomba, I pini del Gianicolo – si faceva strada la capacità di evidenziare con chiarezza le ricchezze di orchestrazione e di strumentazione di Respighi.
Poco prima di dare inizio alla seconda parte, Ernesto Schiavi, direttore artistico dell'OSN, si è avvicinato all'ultima fila dell'orchestra, ai timpani, e ha preso il microfono. Dalle sue parole si è appreso che per il timpanista, Claudio Romano, si trattava dell'ultimo concerto della sua carriera di professionista. Il più giovane timpanista quando entrò in orchestra, il più longevo a ricoprire il ruolo, fratello di Carlo, primo oboista dell'OSN fino al 2018 (divenuto famoso per aver interpretato Mission di Morricone), è andato in pensione sulle note di una partitura che del timpano fa una colonna portante: i Pini della via Appia. Nelle nebbie mattutine una legione romana percorre la via Appia, diventando man mano più nitida, più chiara, più vicina, avanzando fiancheggiata dai pini, fino al suo sfolgorare nella luce accecante del Sole. Tutto questo è tradotto in musica da Respighi nella forma di una marcia trionfale, in un continuo crescendo, scandito, appunto, dai timpani, sempre più marcati e insistenti. Il mazzo di fiori è stato un pensiero gradito, benché prevedibile, che, unito alle parole di Schiavi, ha spinto Romano a lacrime di commozione; ma di certo il buon timpanista non poteva aspettarsi che dietro di lui, nella postazione solitamente riservata al coro, durante le ultime battute dei Pini, oltre a una coppia di trombe, una di tube wagneriane e una di flicorni, avrebbero preso posto ben quattro coppie di piatti aggiuntive, oltre a quelle presenti in orchestra! Una sorpresa non solo per Romano ma per tutti gli orchestrali, mi confida Sara Gasparini, percussionista dell'OSN: vincendo le iniziali riluttanze del direttore, dopo l'ultima prova è stato chiesto a Trevino di omaggiare Romano in questo modo. Il risultato è stato non solo emozionante e luminosissimo quanto a sonorità (ancora una volta la sinestesia è d'obbligo), ma scenograficamente d'impatto, con la disposizione simmetrica e alternata delle coppie ottoni/piatti: nessuna regia teatrale avrebbe potuto rendere meglio, e di certo questo sarà un concerto che Claudio Romano non dimenticherà tanto facilmente. Nemmeno io.
Christian Speranza
4/12/2022
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