Siena la fece, Maremma la disfece
Pia de' Tolomei apre la stagione di Pisa
Da due terzine è arduo ricavare due ore di musica: e, in effetti, la donizettiana Pia de' Tolomei attinge a vario teatro di consumo proto ottocentesco prima che ai paradigmatici versi del Purgatorio di Dante. Tuttavia, è proprio dei grandi compositori tradurre in suono l'ineffabile: e la remota, riverberata laconicità di «Siena mi fe'; disfecemi Maremma» viene restituita alla perfezione da un'opera divisa in due atti geograficamente ben distinti, cui corrisponde, in orchestra, una drammaturgia timbrica differenziatissima nel transito dalla Siena cupa e ferrigna del primo atto alla Maremma stemperata e pulviscolare del secondo. Insomma, un'opera bifronte: e anche la scrittura vocale – con un quartetto protagonistico pienamente romantico nel soprano vittima angelicata come nel baritono geloso e cruento, ma ancora rossiniano nel tenore antagonista negativo e nel contralto en travesti – sembra fare di Pia de' Tolomei un melodramma a due velocità.
Tuttavia, in questa sostanziosa apertura di stagione del Teatro Verdi di Pisa (un titolo inaugurale sottratto al déjà vu, ma comunque sotto il segno del grande Ottocento italiano e di un personaggio radicato nella cultura toscana), il concertatore Christopher Franklin sembra incline all'omogeneizzazione piuttosto che alla differenziazione. A prevalere è un pedale irruento e impetuoso: congruo quando si tratta di raffigurare l'amor violento di Nello e l'eroismo adolescenziale di Rodrigo, meno calzante quando è in scena la protagonista. Pure le raffinatezze sperimentali disseminate da Donizetti (il duetto tenore-baritono costituito da tre sezioni del tutto contrastanti, speculari all'evoluzione psicologica dei personaggi; la catartica severità quasi beethoveniana nella preghiera dell'eremita e del coro…) non vengono fatte delibare fino in fondo nella lettura di Franklin, mentre i cantanti danno l'idea di venire più assecondati che sostenuti: l'ottimo tenore Giulio Pelligra sarebbe stato ancor più apprezzabile se, nella sua cavatina, la bacchetta non gli avesse consentito certi arbitrari spezzamenti di frase.
D'altronde – e questo potrebbe essere un aspetto a favore dell'interpretazione più infuocata che patetica impressa dal direttore – Francesca Tiburzi è una protagonista di naturale drammaticità timbrica, che con la sua ottava inferiore calda e corposa ritrae di Pia la dignità offesa piuttosto che la remissività, la sensualità negata piuttosto che l'angelizzazione. Ne scaturisce un personaggio moderno e attraente: dove qualche forzatura in alto, innegabile la sera della “prima”, è sembrata frutto più di una non perfetta forma che di limiti tecnici. Mentre squillo penetrante, dizione tornita e fraseggio scandagliato confermano in Pelligra uno dei più interessanti tenori italiani di ultima generazione.
Valdis Jansons è voce di tinta chiara (il lucore cresce al di sopra del passaggio), ma pasta autenticamente baritonale nella sostanziosa morbidezza dei centri. E se il canto legato – un po' ostico all'articolazione fonetica di un lettone – non sempre appare fluidissimo, le mezzevoci, la proiezione del suono e la nobile sicurezza della linea sono da baritono di ottima scuola. Quanto a Marina Comparato, è talmente brava da far dimenticare la sostanziale esornatività del suo personaggio (non a caso il quadrilatero di Pia de' Tolomei fu poi trasformato da Donizetti in un triangolo, retrocedendo Rodrigo a un paracomprimariato) e da rendere la sua aria del secondo atto non un pleonastico rallentamento dell'azione, ma un momento emozionante.
La regia di Andrea Cigni sposta l'azione nell'Italia del tardo ventennio fascista, dove gli scontri tra Guelfi e Ghibellini diventano quelli tra camicie nere e resistenti. E in ciò, se si pensa che quello di Pia de' Tolomei è a sua volta un Medioevo riletto da Donizetti in un'ottica romantica, non vi è nulla di particolarmente anacronistico (tolto il fatto che l'idea di una Maremma malarica e mortifera, ben presente nel libretto, è dissonante con le opere di bonifica pungolate da Mussolini). Semmai, si poteva osare qualcosa di più: l'ambientazione fascista, sulla distanza, sembra diventare più una trovata che una necessità drammaturgica. E fare della protagonista e delle altre donne del suo entourage l'equivalente di quelle inglesi innamorate dell'Italia, che ai primi venti di guerra cercarono di porre in salvo molte nostre opere d'arte (a cominciare qui, ovviamente, da certi storici quadri incentrati su Pia de' Tolomei), è un'idea che funziona sul piano del Konzept : ma poi, alla resa dei conti, “passa” poco.
Paolo Patrizi
18/10/2017
Le foto del servizio sono di Imaginarium Creative Studio.