RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Trent'anni di OSN

Secondo concerto

Dopo il concerto del 25 settembre, Andrés Orozco-Estrada sale nuovamente sul podio dell'auditorium Arturo Toscanini di Torino nel secondo appuntamento dedicato al trentennale della “sua” Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN).

Dopo il programma della scorsa volta, diretto allora da Georges Prêtre, il concerto del 30 settembre 2024 propone quello che diresse Giuseppe Sinopoli esattamente a distanza di trent'anni, il 30/09/1994. Vengono così accostate la Sinfonia nº4 in re minore Op.120 di Schumann e la Sinfonia nº4 in mi minore Op.98 di Johannes Brahms. I motivi per scegliere proprio questi autori si ricava dai loro rapporti biografici: nel 1853 il ventenne Brahms venne “scoperto” da Schumann, che, impressionato dalle sue doti di pianista e compositore, lo lanciò nell'agone artistico contemporaneo. Che poi la musicologia abbia dato eguale se non superiore importanza al rapporto che Brahms ebbe con la moglie di Schumann, Clara, dopo la di lui scomparsa, è un'altra storia: amicizia, affiatamento o amore che fosse, quello che affiora dalle oltre settecento lettere superstiti è un forte sentimento di reciproco affetto e stima.

Le due Quarte, però, le ultime ad essere state pubblicate da entrambi, non potrebbero essere più diverse; e se trait d'union deve esserci, è quello di divagare, ognuna a suo modo, dal modello classico di sinfonia codificato dalla scuola di Mannheim e dall'Haydn maturo. D'altronde è acclarato che, dopo Beethoven, la sinfonia avrebbe dovuto prendere strade differenti per innovarsi senza risultare una malacopia di quanto già fatto.

La Quarta di Schumann vide una prima stesura nel 1841, scritta di getto a ridosso della buona accoglienza della Prima. Inizialmente, quindi, fu la seconda in ordine cronologico. Ma l'insuccesso del 6 dicembre dello stesso anno a Lipsia lo indusse a ritirarla. Solo nel 1851 si decise a rimaneggiare quella partitura che, al momento della pubblicazione, fu catalogata come Quarta, passando dalla provvisoria denominazione di “fantasia sinfonica” a “sinfonia” vera e propria, cogliendo il suo successo a Düsseldorf il 3 marzo 1853.

Ciò che disturbò il pubblico del 1841 fu probabilmente l'innovazione formale: una Sinfonia in quattro movimenti collegati l'uno all'altro come un unico racconto musicale, con parte del materiale tematico compresso già nell'Introduzione del primo e ripresentato alla fine e con altri rimandi interni a cementarne l'architettura. Una forma ciclica che prelude al poema sinfonico, troppo in anticipo sui tempi.

Anomala è anche la Quarta di Brahms, scritta nel 1884-85, in cui il magistero brahmsiano della “variazione sviluppante” raggiunge uno dei suoi vertici. L'impostazione è qui quella del classici quattro movimenti, pur con tutte le loro frondosità tardoromantiche. Non è tanto l'Allegro giocoso in terza posizione ad essere strano, che pur essendo tagliato in 2/4 assolve formalmente alla funzione di Scherzo. È soprattutto il Finale a discostarsi dal modello. Brahms riprende la linea di basso dell'ultimo movimento della Cantata BWV 150 di Johann Sebastian Bach, Meine Tage in Leiden, sviluppato già da Bach stesso in forma di ciaccona (antica danza col tema sempre uguale al basso e variazioni nelle linee superiori affine alla passacaglia), la trasporta da si minore a mi minore, la organizza in 3/4 anziché in 3/2, la modifica leggermente, con quel trattamento armonico ambiguo che “suona strano” (e “deve” suonare strano!), e la sfrutta per ben trentadue variazioni a sua volta in forma di ciaccona. Il trattamento di questa forma riecheggia da un lato il Finale delle Variazioni Op.56a, precedenti di dieci anni, in cui viene analogamente ripetuto un basso ostinato, dall'altro la fascinazione della Ciaccona BWV 1004 di Bach, da lui trascritta per pianoforte (sola mano sinistra) e pubblicata nel 1879.

Tanto dissimili, due Sinfonie del genere necessitano di due approcci direttoriali, se non opposti, molto diversi. In questo, Orozco-Estrada sembra invece imboccare una via unica che non gli consente di differenziarle a dovere. Prevale su tutto l'impressione che si voglia livellare le dinamiche, o piano o forte, senza molte sfumature intermedie. Allo stesso modo, si rileva poca cura nell'esaltare i preziosismi della strumentazione, con quei rilievi che marcano gusti e scelte personali. Intendiamoci, non che il concerto sia stato eseguito male. D'altro canto, un'orchestra come la OSN, tirata a lucido per l'occasione e col suono brillante, saldo e gonfio di cui dispone, sa da un lato compensare queste che, più che manchevolezze, definirei più mancanze di sfumature (che però fanno la differenza), dall'altro esaltare i lati positivi.

Perché di lati positivi ce ne sono. La Quarta di Schumann, ad esempio, la meglio diretta tra le due a mio avviso, è investita da un fuoco e un trasporto veramente notevoli, che fanno trasparire lo Schumann inquieto dei primi anni, quelli della produzione pianistica. Il Vivace d'apertura, così come quello di chiusura, sono diretti nello stesso spirito che un pianista applicherebbe alla Sonata Op.22, tanto per dire: rapinose sequenze di quartine di semicrome che scivolano tumultuose agli archi impegnati in un vero tour de force, in cui emergono, un po' più appannate, rare oasi cantabili. Cantabilità che emerge meglio nella successiva Romanza, breve squarcio lirico che il violino solista di Roberto Ranfaldi contribuisce vieppiù a molcere. Lo Scherzo fa ripartire il turbine, dove però l'atteggiamento un poco trattenuto impedisce all'orchestra di slanciarsi a dovere. Molto bene infine per il clima di sospensione che Orozco-Estrada riesce a creare nella transizione fra terzo e quarto movimento, col materiale tematico che ritorna dal primo, strategia in parte mutuata dalla Quinta di Beethoven che prelude alla frenesia convulsa del Finale in cui si ha modo di apprezzare, purtroppo in modo occasionale, l'ingresso fugato delle quattro voci nella prima parte del movimento. L'impressione generale, però, è quella di una partitura deglutita in un solo boccone, senza averla potuta assaporare appieno, poco screziata, poco lavorata.

Discorso più complesso per la Quarta di Brahms, come più complessa è la Quarta stessa e quindi più difficile da rendere al meglio. L'Allegro ma non troppo che la apre presenta quel primo tema sublime, con quella figurazione ansante ai violini, la suspiratio dei retori musicali antichi. Che sarebbe anche gradito ascoltare un po' più rilevato rispetto al resto dell'orchestra, impegnata in percorsi di accompagnamento tutt'altro che secondari, e che invece resta come impigliato in una rete di suono dal quale l'orecchio lo districa a fatica. E perché invece indugiare così poco sul secondo tema, lirico e sofferente, ai violoncelli, e non dargli un po' di elasticità, di canto, di respiro? Scelte che non si condividono, così come il suono tenuto sempre troppo massiccio, come dicevo prima senza molte sfumature. L' Andante moderato sembra essere trattato meglio, forse perché più “sentito”, con una bacchetta più morbida, un po' più aderente alle sfumature espressive (non troppo), pur con qualche controllo che sfugge qua e là ed episodi che suonano farraginosi. Energico e ben fatto il terzo, e complessivamente ben fatto anche il quarto, che emana graniticità purtroppo a causa della condotta impersonale, rigorosa sì ma con poca anima; là dove si sarebbe potuto giocare coi timbri ed evidenziare la permanenza del tema contro il fiorire delle variazioni, tutto si appiana lungo un'esecuzione sì pregevole ma poco scavata.

Ciò comunque non ha impedito al pubblico di applaudire convinto, cosa che ha dato modo a Orozco-Estrada di pronunciare un bel discorso di encomio e di incoraggiamento all'orchestra, terminando con «un augurio di una crescita sempre felice e di una lunghissima vita musicale». Molto apprezzato è stato infine l'elenco dei professori d'orchestra presenti allora al concerto diretto da Sinopoli e ancora attualmente in forze: il già citato Roberto Ranfaldi e Marco Lamberti (violini primi), Roberto Righetti (violino secondo), Silvio Albesiano (contrabbasso), Alberto Barletta e Luigi Arciuli (flauti), Graziano Mancini (clarinetto) ed Ettore Bongiovanni (corno). A loro è andato l'applauso più convinto, a loro e agli ex colleghi in pensione che, intervenuti al concerto “in borghese” in mezzo al pubblico, al termine della serata si sono alzati come in una sorta di euforico flash mob.

Christian Speranza

5/10/2024