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Barcellona

Tre compagnie diverse per Tosca

Tosca è titolo popolarissimo e molto amato. Se questo basti per programmare quindici recite in poco più di due settimane è non solo questione di opinione o di gustabile ma anche di realismo, non solo vista la situazione economica attuale ma anche quella in cui versa oggi la lirica. Di pubblico ce n'è, molto, ma non fino al sospirato ‘tutto esaurito'.

Nella fattispecie abbiamo una nuova produzione locale (passerà a Siviglia – e forse a questo fatto si devono le vergini stile Zurbarán in quella che dovrebb'essere Sant'Andrea della Valle – ma non a Buenos Aires come si era annunciato in un primo momento) per la regia di Paco Azorín, parecchio oscura – la chiesa risulta più tetra delle stanze di Palazzo Farnese, divenute anche luogo di prigione e tortura di avversari politici che seguono le vicende durante l'ultimo intenso confronto tra Tosca e Scarpia – e di atto in atto sempre più 'astratta' con pretese di ‘universalità', anche se si scrivono nei sopratitoli insieme alle ore del giorno i nomi di strade e ponti romani e ovviamente un Castel Santangelo non riconoscibile. Ci sono poi le comparse che accompagnano nella fuga dal carcere Angelotti e simmetricamente Tosca dopo l'uccisione di Scarpia, in volute simmetrie che fanno anche dell'inizio di ogni atto l'esatta ripetizione della fine del precedente. L'unica pausa viene collocata dopo l'atto primo; forse è logico ma si priva così della sua efficacia teatrale il finale dell'atto secondo.

Gli artisti poi, seguendo un'idea generale, seguivano le loro idee, se le avevano ed erano in grado di realizzarle. Sondra Radvanovsky metteva in rilievo il suo enorme volume e un registro acuto sfarzoso seppure con più di un momento di vibrato metallico, ma questo era tutto: non solo un centro e un grave poco puliti ma assenza quasi totale di suoni filati e certi gesti ‘all'americana' che non c'entravano con il suo personaggio. Martina Serafin era molto più sfumata ed interessante (l'acuto non sempre era controllato, con tendenza a crescere) ma le frasi parlate non sono il suo forte. Fiorenza Cedolins risultava così non solo la più completa ma anche un soprano che ha capito e ricuperato l'eredità della tradizione italiana su tutti i fronti: lo stile di canto, la tecnica, il fraseggio, la padronanza del canto di conversazione (oggi quasi sparito o ‘globalizzato' e quindi neutralizzato) e, non ultimo, l'interpretazione.

Il migliore Scarpia sul palcoscenico era anche il più debole dal punto di vista vocale (non è cosa nuova): Scott Hendricks. Come cantante invece si faceva onore Ambrogio Maestri, senz'altro un bravo attore ma qui stranamente costipato. A Vittorio Vitelli, che debuttava nella parte, vanno riconosciuti i meriti di uno sforzo che però più di una volta diventava enfasi uniforme. Quando scrivo queste linee pare non sia finito l'arrivo di tenori per Cavaradossi: Riccardo Massi si ammalava dopo la generale e, ovviamente, non è che si trovino dei Mario alla portata di mano. Il migliore era indubbiamente Alfred Kim, di tecnica e stile ineccepibili benché di timbro impersonale: molto applaudita ‘E lucevan le stelle', è stato l'unico che si guadagnava un breve applauso dopo ‘Recondita armonia'. Jorge De León ha una voce bella e generosa, ma cantava tutto il tempo forte e non so se si possa parlare di fraseggio nel suo caso. José Ferrero, arrivato a ultima ora (non c'era neanche un pezzo di carta con i dati biografici come si fa di solito), sembra avere un buon materiale e anche buone intenzioni ma per ora si ferma lì e comunque dovrebbe rivedere l'emissione (sembra un tenore quasi leggero negli acuti e uno spinto o drammatico negli altri registri) e qui d'interpretazione non è il caso di parlare.

Le parti di fianco – quasi tutte almeno con una compagnia alternativa – venivano ricoperte in linea di massima adeguatamente, ma bisognerebbe ricordare in particolare almeno i nomi di Valeriano Lanchas (sacrestano), Francisco Vas (Spoletta), Vladimir Baykov (Angelotti), Dimitar Darlev (carceriere) e anche il pastore di Elena Copons. Molto bene come al solito il coro istruito da José Luis Basso, così come il coro di voci bianche di Granollers preparato da Josep Vila i Jover. L'orchestra è migliorata man mano che si succedevano le repliche e il livello risultava alla fine buono sicuramente, grazie all'efficace concertazione di Paolo Carignani.

Jorge Binaghi

16/3/2014

Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.