La Traviata
al Teatro Comunale di Treviso
Il Teatro Comunale “M. Del Monaco” chiude la stagione d'opera con un nuovo allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi con la regia di Alessi Pizzech. Spettacolo molto peculiare quello creato dal regista toscano, assieme a Davide Amadei (scena e costumi), il quale si cimenta per la terza volta con il titolo verdiano. La concezione registica mette al centro della drammaturgia intimismo, emotività, solitudine e in parte emarginazione. La vicenda di Violetta è narrata come un commiato alla vita, una laica cerimonia funebre ottocentesca che come la malattia della protagonista sarà lenta e inesorabilmente fatale. Violetta, ormai rassegnata al suo destino, è quasi un'estranea alle feste, che pur continua “obbligata” a frequentare, l'unico appiglio sarebbe il ritiro in campagna con l'amato ma esigenze sociali impongono diversamente. Il finale, molto forte, la vede sola in una stanza “funebre” mentre prende commiato dai ricordi ma anche da un Alfredo ritrovato ma tardivo, e le camelie che prima erano il suo fiore ora sono le corone funebri sulla tomba. Visione molto forte ed efficace e sicuramente, in parte, volutamente fuori dagli schemi ma che non va mai contro il libretto. Sin dall'inizio vediamo un drappo nero collocato sui tre lati del palcoscenico ma alzato come fosse un arredo sospeso. La memoria va subito a una camera ardente, una morte sospesa che sta per incombere. La protagonista non è mai vestita lussuosamente da cortigiana ma in ricche vestaglie da camera, detesta ormai la vita sociale e la malattia è galoppante. La fedele Annina è sempre al suo fianco quale servizievole amica che cambia in continuazione fazzoletti sporchi di sangue. Tutti gli altri personaggi gravitano attorno a lei. Il frivolo Alfredo che non vede lo stato di salute di lei, il cinico Germont che chiede il prezzo più altro. Nel lungo duetto del secondo atto, una delle scene più tragiche, lei non riesce a sostenere la conversazione e deve coricarsi, lui inflessibile prosegue stendendosi sul letto per farle capire le sue ragioni. Il finale è molto drammatico, Violetta sola su una carrozzina a rotelle che a fatica riesce a muovere, il drappo nero ora è calato e l'aspetto della camera ardente è totale. Sul finale appaiono le camelie, ma sono intrecciate come nei cuscini funebri.
Una regia molto studiata, che non affascina a una prima visione, ma fa pensare e commuove senza enfasi. L'arredo è essenziale ma funzionale, i costumi di gran pregio, ma sono le luci di Roberto Gritti a imporsi in questo spettacolo, colorate e talvolta accecanti nei primi due atti, fredde e lugubri nel finale.
Sul podio dell'Orchestra Filarmonia Veneta c'era Francesco Ommassini, presenza frequente al Teatro Comunale di Treviso. Il maestro ha avuto il pregio, ma forse è il caso di dire coraggio, di aprire tutti i tagli solitamente omessi, con cabalette eseguite con daccapo (giustamente variato) e la bellissima seconda strofa di “Addio del passato”. Una scelta sicuramente filologica che ha impegnato i tre protagonisti ben oltre il consueto mestiere. La concertazione era molto accurata, precisa nel dettaglio, e caratterizzata da una narrazione decadente, che ben si adattava con lo spettacolo. Se un difetto era riscontrabile, ammesso che fosse un difetto, questo era individuabile in una lentezza narrativa riscontrabile soprattutto nel secondo atto. Tuttavia, Ommassini, da buon professionista qual è, ha sempre tenuto un ottimo equilibrio tra buca e palcoscenico, le voci non erano mai coperte e nel complesso la prova è stata più che positiva. Buona la prova del Coro “Benedetto Marcello”, diretto da Francesco Erle, che era efficace e puntuale in ogni momento richiesto.
Gilda Fiume è una Violetta rilevante, scavata nel personaggio, con accenti e colori davvero ammirevoli, e un fraseggio di gran classe. La voce importante e bella scorre senza indugi sia nei momenti virtuosi sia in quelli più lirici, ma se dovessi citare un momento memorabile senza dubbio, è stata la struggente e drammatica esecuzione di “Addio del passato”. Leonardo Cortellazzi, Alfredo, sfodera l'importante voce lirica in un ruolo che mette in luce tutte le qualità di musicista. Molto preciso nell'interpretazione e nel fraseggio, è un po' a disagio nel registro acuto durante l'esecuzione del daccapo della cabaletta. Molto nobile il Germont di Francesco Landolfi, il quale pur non avendo a disposizione un materiale di prim'ordine ha modo di emergere per l'eleganza del fraseggio e un uso mirabile dei colori.
Le parti di fianco erano ben assortite e collaudate. Valentina Corrò era una volitiva e brillante Flora, Arianna Cimolin una vissuta e straziata Annina. Diego Rossetto un perfetto Gastone, Michele Soldo un puntuale Barone, Fabrizio Zoldan un preciso Barone, poco caratterizzato ma decoroso il dottore di Zhengij Han. Completavano la locandina i professionali Andrea Biscontin, Giuseppe, e Luca Scapin nel doppio ruolo di Commissionario e domestico.
Successo al termine per tutta la compagnia, con particolare gradimento per la protagonista. All'uscita del regista applausi più contenuti ma come suddetto lo spettacolo non è tradizionale e non era facile entrare nella chiave di lettura.
Lukas Franceschini
1/2/2018
Le foto del servizio sono di Piccinni-Treviso.
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