La Traviata
al Teatro Filarmonico di Verona
Uno spettacolo storico, La Traviata di Giuseppe Verdi, con la regia di Henning Brockhaus e le scenografie di Josef Svoboda, approda per la prima volta a Verona al Teatro Filarmonico per la Stagione d'opera 2014-2015. Quest'allestimento nacque nel 1992 allo Sferisterio di Macerata, ripreso anche in seguito, poi rimpicciolito ed adattato per i palcoscenici dei teatri al chiuso dalla Fondazione Teatro Pergolesi di Jesi. Fece scalpore all'epoca e fu uno degli spettacoli più innovativi e fantasiosi, il quale accomunò consensi sia di pubblico sia di critica. Rivederlo dopo tanti anni non può che confermare tale opinione. Fu denominata La Traviata degli specchi, infatti, sul fondo scena troneggia uno specchio inclinato che riflette degli immensi drappi posati sul palcoscenico, magnifici ed ideati dal compianto Svoboda, i quali sono tolti a vista e creano di volta in volta una nuova scena. Tale impianto scenografico potrebbe avere anche l'ambiguità di sdoppiare la drammaturgia, ponendo l'accento sulla doppia vita dei nobili e ricchi borghesi che frequentano case bordello di lusso. L'effetto visivo è indubbiamente emozionante e i colori sfarzosi delle due scene di festa erano pienamente azzeccati. Ancor più efficace il finale, nel quale lo specchio si alza e riflette il teatro intero con pubblico e luci accese, immergendo lo spettatore nella vicenda e invitando questi a farsi anche delle domande, per chi è disposto a porsele. La regia di Brockhaus è sostanzialmente uguale con solo qualche piccolo aggiustamento, ma imprime il giusto effetto teatrale che merita il dramma, altra cosa sarebbe la questione d'interpreti all'incirca attendibili, nel caso veronese la recitazione era notevolmente scadente.
Bellissimi i costumi di Giancarlo Colis, sfarzosi, cromatici, eleganti e raffinati. Unico appunto sarebbe di usare abiti scollati e con spacchi vertiginosi qualora l'interprete li possa indossare senza dare "scandalo" visivo per abbondanza fisica. Efficaci e ben tracciate le coreografie di Valentina Escobar.
La parte musicale ha deluso e molto, salvo l'eccezione del baritono Simone Piazzola. Il giovane baritono, che ho ascoltato nello stesso ruolo alla Fenice e nel recente Simon Boccanegra, conferma doti canore non comuni: voce bella rotonda e piena ben amministrata attraverso un colore musicale e un fraseggio di rango. Certamente fuori ruolo Jessica Nuccio quale Violetta, per carenze sia tecniche (nel primo atto) sia per spessore vocale (nel secondo e terzo) ove non riesce a trovare un accento appropriato, talvolta non intonata, e scivolando in una grottesca interpretazione. Scelta discutibile anche quella del tenore Hoyoon Chung, acerbo, limitato vocalmente e in difficoltà con la partitura tutt'altro che facile, azzarda un'improbabile cabaletta ma non tiene il passo con il personaggio anche meschino di Alfredo.
Poco efficaci l'Annina gutturale di Alice Marini e la sfocata Flora di Elena Serra. Molto meglio le altre parti: il Gastone di Antonello Ceron, il barone di Nicolò Ceriani, il marchese di Dario Giorgelè, il dottor Grenvil di Francesco Breda. Completavano la locandina Francesco Pittari (Giuseppe) e il bravo Romano Dal Zovo (nel doppio ruolo di domestico e commissionario).
Sul podio c'era Marco Boemi che ha convinto poco e ha intrapreso scelte di lettura del tutto personali che hanno portato ad un'evidente sfasatura tra buca e palcoscenico. In generale mancava di emotività e colore, preferendo adagiarsi sull'accompagnamento lento e di ruotine senza anima e colore. Il coro era affidato alla direzione di Vito Lombardi, altra carta da provare per la direzione stabile, e non ha sfigurato meritando un plauso convinto.
Teatro quasi esaurito, anche per la convenzione con gli istituti scolastici cittadini, che al termine ha tributato un felice successo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
31/1/2015
Le foto del servizio sono di Ennevi.
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