RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Triplo finale per il Regio

Fra tutti i teatri d'Italia, il Regio di Torino è quello che più si è prodigato nel celebrare il centenario pucciniano. La stagione 2023-24 ha infatti annoverato ben cinque produzioni del Lucchese: La bohème a ottobre, La rondine a novembre, La fanciulla del West a marzo e Le Villi ad aprile. La cinquina si chiude a giugno-luglio con Il trittico, qui presentato, rara avis, nella sua forma completa.

Di solito, com'è noto, si tende infatti a operare smembramenti più o meno sensati dei tre titoli, accoppiandoli singolarmente ad altri con cui possano avere qualcosa in comune. La regia di Tobias Kratzer, invece, qui ripresa da Ludivine Petit, cerca di aggiungere un quid per suggellare vieppiù la loro unitarietà. Si tratta di un allestimento in coproduzione col Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, dove ha debuttato nel 2021, che si avvale di scene e costumi di Rainer Sellmaier, ripresi da Clara Hertel, e delle luci di Bern Purkrabek, riprese da Gianni Bertoli. Kratzer traspone Il trittico alla contemporaneità, ma non altera quasi per nulla la natura di trame e soggetti. All'alzarsi del velario, si staglia su un cielo rosso (indicazione librettistica rispettata!) il profilo delle Torri Gemelle o di qualche altro grattacielo simile. In primo piano, una suggestiva quadripartizione dello spazio vede, in alto, a sinistra il ponte della chiatta di Michele e a destra la camera da letto, fredda, metallica, spoglia e claustrofobica, una lattina di sardine adattissima a rappresentare il rapporto soffocante di Giorgetta e Michele, con un televisore voltato di spalle al pubblico. In basso, a sinistra la stiva piena di sacchi e a destra le rive della “Senna”, con lampioni e panchina dove il venditore di canzonette, lunghi capelli biondi e camicia variopinta, schitarra le sue melodie a prostitute di passaggio. Michele si presenta in canottiera bianca, con tanto di sfregio sulla guancia, a denunciare un passato torbido e violento, Giorgetta in pantofole rosa e gonna di jeans, Luigi in salopette nera e foulard azzurro: ciascuno ben caratterizzato e con una sua identità. Sulla sinistra, la scritta Giacomo Puccini's Il tabarro campeggia in un font da fumetto – vedi Zagor. È il fumetto, cui si ispira la quadripartizione della scena, come una pagina in quattro vignette, il fil rouge della produzione: una produzione in cui, come dichiara il regista, «Le opere si sognano a vicenda». In Suor Angelica, infatti, le crude vicende del Tabarro diventano un giornalino che le suore si passano con circospezione e leggono di nascosto – il tutto raccontato in bianco e nero con video a cura di Manuel Braun, Jonas Dahl, Janic Bebi e Matthias Piro, prereegistrati con il vero cast in scena e proiettati sullo sfondo di un palcoscenico improvvisamente spoglio e grigio, monastico, ascetico, che evidenziano con delle scritte l'avvicendarsi dei sette “episodi” (La preghiera, Le punizioni, ecc,). Quando il fumetto viene scoperto, finisce nel caminetto acceso. Ed è qui l'unico distacco dalla trama originale. Un frammento del fumetto finisce sul tappeto, il tappeto prende fuoco e il convento brucia. E in questo incendio compare il bimbo di Suor Angelica, anche se con espressione non esattamente di gloria ultraterrena… Che incendio e bimbo siano una sua visione, una proiezione delle sue angosce, tanto la speranza del ritrovare il figlio in Paradiso, quanto la paura di ritrovarlo tra le fiamme dell'Inferno per via del suicidio, non è dato sapere. Anche perché le sorelle, anziché allarmarsi per l'incendio, si raccolgono attorno al cadavere di Suor Angelica. L'incendio, quindi, c'è stato o no?

Sia come sia, è proprio ascoltando il finale di Suor Angelica che Buoso Donati, nel suo studio, decide di rivedere il testamento e, mimando l'azione di barrare quanto già scritto, destina tutto a Santa Reparata, infilando poi il foglio nella custodia del disco dell'opera. Subito dopo gli prende un colpo e fa appena in tempo a trascinarsi sulla sua poltrona, prima che i parenti arrivino, scoprano l'accaduto e inizi l'opera vera e propria. Che sia benestante, Buoso, si capisce (anche) dal particolare della poltrona, una Lounge Chair di Charles e Ray Eames, da svariate migliaia di euro… Ai parenti in giacca e cravatta si contrappone Gianni Schicchi, esponente della «gente nova» che entra molleggiandosi con fare da sbruffone di periferia in un giaccone a buon prezzo. Quanto a Lauretta, riflette lo status del padre, giubbottino argentato e jeans . Ben poco c'entra la vasca da bagno che a metà opera cala dall'alto e in cui tutti fanno il bagno in costume, prefigurazione del lusso che li aspetta – o del fatto che resteranno… in mutande… Ma il dettaglio serve a collegare il Gianni Schicchi al Tabarro, perché immagini dello “schiuma-party” erano già state viste nel televisore di Michele, riportate sotto la scritta da fumetto, sì da legare l'ultima opera alla prima, con Michele che guarda attraverso uno schermo l'illusoria felicità degli altri, mentre si macera nel sospetto e nella gelosia. Meno pregnante è il fatto di voler concepire il Gianni Schicchi come un reality show televisivi. Sul fondo del palco, infatti, una tribuna di spettatori assiste alla vicenda commentando con Oooh! di stupore grazie a suggeritori muniti di cartelloni. Spettatori veri, tra l'altro, reclutati dal Regio attraverso un bando sul sito del Teatro.

Se l'idea di unire le tre opere certamente risulta accattivante, i puristi di Puccini potranno obiettare il fatto che l'unitarietà del Trittico si coglie proprio attraverso la diversità dei contesti, come a dire che gelosia, ipocrisia e avidità sono costanti dell'uomo in tutte le epoche, e attualizzarle significa riportarle solo al present day (alla recita del 23 giugno, non questa in esame, Il tabarro è stato contestato vivacemente, anche se da un solo spettatore facinoroso…); ma, risvolto della medaglia, l'operazione sottolinea che sono presenti anche oggi, sebbene in altre forme; oggigiorno, tanto per dire, una gravidanza extramatrimoniale non è poi così scandalosa e non è più epoca di monacazioni forzate…

Se l'allestimento nel complesso convince, convincente risulta anche l'aspetto musicale. A capo della splendida Orchestra del Regio, Pinchas Steinberg imprime una direzione molto misurata, che unisce tempi comodi e rilassati, anche se mai eccessivamente lenti, semmai carichi di aspettative, a una tenuta e una tensione di fondo che raramente vengono meno. Il Coro della Casa rispecchia l'alta cura messa nel prepararlo dal sempre ottimo Ulisse Trabacchin. Claudio Fenoglio istruisce invece il Coro di Voci Bianche.

Valido anche il cast, che vince la sfida di trovare una compagnia all'altezza nel destreggiarsi in ruoli molto diversi nel corso delle tre opere.

A partire, per esempio, da Roberto Frontali, in gran forma nel doppio ruolo di Michele e Gianni Schicchi, dove convince per timbro penetrante, voce solida ed espressiva, per il vocabolo ben tornito e per la realistica recitazione, un po' farsesca nell'ultima opera com'è giusto che sia. Il tabarro qui si trasforma, da ampio ferraiolo, a lungo cappotto di pelle nero col quale copre il cadavere di Luigi. Che qui è Samuele Simoncini, tenore di ottima fibra, spessa e potente, in grado di dar vita a un personaggio credibile e ben riuscito, tanto nelle movenze, che delineano un Luigi passionale e ribelle, quanto nella resa vocale, talvolta offuscata da emissioni un po' disomogenee e sforzate in acuto. Cosa che non gli impedisce di rendere cupo e drammatico il suo arioso, Hai ben ragione, e anche più coinvolgente il finale del Cantabile Folle di gelosia!, dove l'intensità raggiunge il suo culmine. Bene anche per la Giorgetta di Elena Stikhina, che ha modo di mettersi in luce pienamente nel rôle titre di Suor Angelica. Al netto di alcune oggettive difficoltà di pronuncia, le sue prestazioni si distinguono per uno strumento sonoro e vibrante, limpido e di buon volume, penalizzate in parte da un'interpretazione forse un po' fredda, come il suo rimanere quasi indifferente di fronte al corpo di Luigi. Il suo Senza mamma rinuncia al pathos, sul quale sarebbe facile giocare, per puntare sullo straniamento, sull'incredulità e sullo sgomento che la notizia del figlio morto le ha provocato. Come se non se ne rendesse ancora conto. E lo canta come in trance. E, a dispetto di altre opinioni che vorrebbero le immagini dietro di lei distraenti, il contrasto fra il dramma in solitudine di Suor Angelica, prona e bocconi sul palcoscenico vuoto, e le suore che leggono divertite il fumetto del Tabarro nel video dietro di lei è estremo.

Restando in parlatorio, facciamo conoscenza con la Zia Principessa di Anna Maria Chiuri. Definire magistrale e superlativa la sua interpretazione, meglio ancora la sua immedesimazione, è ancora riduttivo. Non si può rendere a parole l'autentico gelo che scende in teatro al suo apparire. Nella trasposizione di Kratzer la Zia è una decisissima snob in pellicciotto e borsa griffata, che spesso nasconde lo sguardo dietro grandi occhiali da sole. Le ripugna essere lì, in un ambiente che puzza di incenso e «purità». E tutto questo traspare da minimi, attenti e calcolatissimi gesti scenici. Vocalmente dispone di un timbro scuro e grande facilità nella discesa negl'inferi del grave, e la parola esce granitica e scultorea, forte di uno studio in cui ogni sillaba è pesata.

Il morale si risolleva col sarcasmo del Gianni Schicchi. Del protagonista s'è già detto. Occorre ora menzionare lo squillante Rinuccio di Matteo Mezzaro, che svetta nella sua Firenze è come un albero fiorito e ha modo di sfoggiare buone qualità canore e attoriali in tutta la sua parte. Bene anche per la Lauretta di Lucrezia Drei, il cui O mio babbino caro riesce a sposare dolcezza ed espressività. Idem può dirsi della sua arietta “dell'agnellino” in Suor Angelica (Soave Signor Mio), dove interpreta Suor Genovieffa. Nel Tabarro è impegnata invece come Giovane amante.

Valido e preparato anche il nutrito stuolo di comprimari. Nel Tabarro si distinguono la «Frugola» di Annunziata Vestri, di bella voce sonora, che ricopre anche il ruolo di Suora Zelatrice, il «Talpa», suo marito, di Gianfranco Montresor, più a suo agio come Simone, cugino di Buoso, in Gianni Schicchi, e il «Tinca» di Roberto Covatta, tenore più leggero di Mezzaro ma come lui dotato di buon squillo e bella recitazione, doti che mette anche al servizio di Gherardo. In Suor Angelica si ha Tineke Van Ingelgem come Suora Infermiera e Maestra delle novizie (e Ciesca in Gianni Schicchi), una notevole e profonda Monica Bacelli come Badessa, Annelies Kerstens quale Suor Osmina, Emma Posman come Una novizia e come Prima conversa, Lyudmyla Porvatova quale Seconda sorella cercatrice e Seconda suora, che si alterna nei ruoli con Daniela Valdenassi, Jang Eun Young come Prima suora, che si alterna con Caterina Borruso, e Laura Lanfranchi come Terza suora, in alternanza con M. Lourdes R. Martins. In Gianni Schicchi spicca la Zita dell'inossidabile ultraottantenne Elena Zilio (non si rivela l'età di una signora, ma sia detto qui alla coreana, per mostrare rispetto!), di voce ancora sonante e istrionismo contagioso, il cui «Ladro!» è degno delle attrici più consumate e strappa al pubblico più di una risata, il simpatico Maestro Spinelloccio di Roberto Accurso, per l'occasione anche Ser Amantio, il Pinellino di Marco Sportelli, alternato a Lorenzo Battagion, e il Guccio di Roberto Calamo, alternato ad Alessandro Agostinacchio. Riccardo Mattiotto è Buoso Donati, mimo che per tutto il tempo, a parte l'infarto iniziale, resta seduto “morto” tra il pubblico sullo sfondo per poi rotolare a sorpresa sul palco, mentre il piccolo Achille Coatto è Gherardino, ruolo ricoperto, nelle altre recite, da Ludovico Longo e Luca Degrandi. Non mancano infine gli Artisti del Regio Ensemble, affidabili vecchie conoscenze per gli aficionados del Regio: Irina Bogdanova come Voce di sopranino nel Tabarro, Prima sorella cercatrice e Nella; Enrico Maria Piazza come Venditore di canzonette; Ksenia Chubunova come Seconda conversa e Suor Dolcina, che nel video è talmente golosa che è preda di un attacco di bulimia, tra biscotti e crema al cioccolato; Tyler Zimmerman come Betto di Signa e Andres Cascante come Marco. A tutti il pubblico della penultima recita, martedì 2 luglio 2024, di cui si è dato conto, tributa un applauso sincero che sancisce uno spettacolo pienamente riuscito.

Christian Speranza

9/7/2024

Le foto del servizio sono di Daniele Ratti.