RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Così fa Manara

 

Inaugurazione di classe, al Teatro Pergolesi di Jesi: con uno spettacolo all'insegna d'un ben congegnato appeal mediatico, ma pure di autentica sostanza teatrale. Far esordire, alle soglie degli ottant'anni, un artista come Milo Manara in veste di scenografo e costumista operistico era forse un azzardo e certamente un evento: scommessa vinta e avvenimento non fine a se stesso, da un lato per l'indubbia consonanza tra l'opera prescelta – Così fan tutte – e l'immaginario del padre nobile del fumetto erotico italiano, dall'altro perché l'utilizzo dei suoi disegni non si esaurisce in una parata di figure raffinate e inebrianti, lievitando invece in una messinscena dai fertili spunti ermeneutici e spettacolari.

A scenografi tanto illustri quanto atipici hanno spesso fatto riscontro, nei teatri d'opera, regie o disciplinatamente anonime o del tutto parallele rispetto al “percorso” scenografico. A Jesi nessuna delle due eventualità si è verificata, perché Stefano Vizioli è regista in grado di non lasciarsi fagocitare dalla personalità grafica di Manara, pur sposandone tutte le sollecitazioni. I bozzetti, poi sapientemente ricostruiti per il palcoscenico da Benito Leonori, evocano le molteplici trasformazioni di Giove – in toro, in cigno, in pioggia d'oro, perfino in donna – a fini di conquiste erotiche, così come narrate in primo luogo nelle Metamorfosi di Ovidio, creando un sottile fil rouge con i travestimenti che in Così fan tutte portano allo scambio tra le coppie protagoniste (nonché rammentandoci la sterminata cultura classica sottesa al libretto di Da Ponte); e Vizioli, anziché farne dei fondali fissi che avrebbero cristallizzato l'azione su un erotismo più illustrativo che narrativo, sceglie di usarli come quinte mobili: insufflando movimentazione e ariosità (due desiderata ineludibili, per un'opera che è un'autentica “partita a sei” e dove la brezza marina acuisce, o sconvolge, i sensi), nonché apportando tridimensionalità – materiale e psicologica – al bidimensionale liberty di Manara.

Per il resto, essendo Così fan tutte la più proteiforme opera di Mozart, mai come qui ogni interpretazione può avere cittadinanza. Vizioli opta per una lettura indenne da misoginie di tradizione come da femminismi revisionisti, che non insiste troppo sull'ambiguità del testo (al finale “aperto” viene preferito un epilogo esplicito nella sua dimensione di fallimento collettivo), con qualche omaggio ai grandi classici (la “licenza”, o congedo dei personaggi dal pubblico, al calar del sipario) e incline all'erotico-malinconico più che al farsesco-boccaccesco. La cifra, insomma, è quella di una comicità misurata unita a una fisicità mai scomposta, ma sempre molto presente (le due protagoniste recitano, ed efficacemente, anche con i piedi): in questo quadro, i satiri e le ninfe di Manara giocano il loro ruolo di macchina scenica idealmente contrappuntistica, mentre chi volesse assaporarli da vicino – anziché nel colpo d'occhio complessivo della visione teatrale – può andare nella prestigiosa pinacoteca jesina, che ospita i bozzetti originali del grande fumettista.

Uno spettacolo così riuscito sul fronte visivo ha il difetto, per così dire, di porre nelle retrovie l'esito musicale. D'altronde non era semplice per Aldo Sisillo, direttore più a suo agio in altro repertorio, far quadrare i conti con un'Orchestra Filarmonica Marchigiana all'apparenza svogliata e certo in cattiva serata: riassestatasi durante il secondo atto – che, essendo assai più paratattico, non presenta le difficoltà plastiche e costruttive del primo – ma con momenti molto incerti durante l'ouverture. Più interessante, sulla carta, il sestetto vocale: con due protagoniste (Ekaterina Bakanova e Lilly Jørstad) non ancora assurte nello star-system e tuttavia già entrate nel “giro che conta”, tre giovani rampanti (Francesca Cucuzza, Antonio Mandrillo e Jiri Rajnis) e un elemento ampiamente collaudato, pur se rimasto ai margini del mercato (il Don Alfonso di Emanuele Cordaro).

Di fatto, non si sono ascoltate personalità illuminanti: ma se né la Bakanova né Jørstad hanno quelle agilità di forza e quella propensione al “canto di bravura” che innalzano Fiordiligi e Dorabella da caratteri di commedia a creature di somma vocalità concertistica, piace la sicurezza senza forzature con cui la prima risolve la bassa tessitura di Per pietà, ben mio, perdona, così come convince il calore e la pienezza di fraseggio che promana dal canto della Jørstad. Dizione impeccabile e accento sempre calzante caratterizza poi la prova di Cordaro, cui difetta solo il giusto spessore timbrico (un Finem lauda povero di suono e colore), così come il timbro troppo chiaro – per un vero baritono – e un po' spigoloso penalizza il Guglielmo di Rajnis. Mandrillo (“nomen omen”) è un Ferrando di spavalda e infuriata tenorilità, dunque più congruo in Tradito, schernito che in Un'aura amorosa; mentre Francesca Cucuzza dispiega come Despina cospicue potenzialità di attrice e dicitrice, anche se, nell'abbrivio dei momenti comici, tende ad aggredire l'emissione. Affiatamento e spirito di squadra si direbbero comunque inattaccabili: il che, per quel sestetto continuamente scomposto e ricomposto che sono le dramatis personae di Così fan tutte , non è poco.

Paolo Patrizi

24/10/2023

La foto del servizio è di Stefano Binci.