Gran finale mozartiano
La trilogia Mozart-Da Ponte al Regio di Torino
Così fan tutte
In tempi recenti Così fan tutte KV 588 di Wolfgang Amadeus Mozart, terza collaborazione col librettista Lorenzo Da Ponte che debutta a Vienna il 26 gennaio 1790 (il giorno prima del penultimo compleanno dell'autore…), ha conosciuto un curioso refresh: se ne è cavata una versione teatrale in prosa, ammodernandone i dialoghi e trasportando l'azione in epoca contemporanea. Guglielmo e Ferrando son diventati così un aspirante medico e un operaio di segheria, Dorabella e Fiordiligi un'oca giuliva e una seria ragazza impegnata nel volontariato, Don Alfonso e Despina, cambiando di sesso, una fredda e distaccata femme fatale e un organizzatore di feste degne di Sardanapalo. L'operazione, in apparenza frivola, non è priva di senso: perché, stando nell'ambito della trilogia dapontiana scritta per Mozart, ed escludendo l'oscura parentesi “demoniaca” del Don Giovanni, il raffronto tra Le nozze di Figaro e Così fan tutte, le due opere in cui il “gioco delle coppie” (citando Bartók) è più evidente, mostra che la seconda, con una manciata di personaggi (6 contro 11), riesce a mettere in campo dubbi e quesiti più universali della sua sorella del 1786: la fedeltà della propria compagno/a, ma anche la fedeltà a se stessi e a ciò che si crede immutabile nelle proprie convinzioni. Mentre le Nozze risentono della paternità e dei contenuti di Beaumarchais, che Da Ponte si limita a tradurre, attenuandone la virulenza della polemica sociale per motivi di censura, il Così fan tutte non rende conto a nessuno se non alla fantasia e, diciamo pure, al disincanto scaltrito e, lungi dall'incupimento, ammiccante di Da Ponte, che si sarebbe ispirato a un episodio di cronaca circolante in quei tempi, forse suggerito dall'imperatore Giuseppe II in persona, la cui morte, nel febbraio del 1790, troncò sul nascere la fortuna dell'opera (le rappresentazioni vennero vietate per lutto): fortuna che, nell'Ottocento, non recuperò terreno, restando il lavoro tacciato di un forte disequilibrio tra la bellezza della musica e la povertà del libretto: “Prima la musica, poi le parole”, secondo il motto che Riccardo Muti scelse, non a caso, come titolo per la sua autobiografia.
Con questo titolo termina la stagione 2017/18 del Teatro Regio di Torino, che ha chiuso all'insegna dell'intera trilogia mozartiana, su regie già presentate negli anni scorsi (2003 e 2012 per l'opera in questione) ma sempre godibili e soprattutto aderenti alle indicazioni del libretto. Nel caso del Così fan tutte, andato in scena tra giugno e luglio (riferiamo di due spettacoli, 2 e 5 luglio), la regia di Ettore Scola, le scene di Luciano Ricceri e i costumi di Odette Nicoletti ambientano l'azione nel Settecento, al porto della città, nel giardino e nelle stanze delle due “dame ferraresi”, con abbondanza di dettagli, di drappeggi e di oggetti scenici e con un gradevolissimo accostamento di colori. Permetteva il cambio scena un pannello mobile raffigurante un tramonto sul mare, che Don Alfonso, con l'immancabile ventaglio (unico tocco dandy in un personaggio abbigliato in modo volutamente trascurato, come a dire, da filosofo, che il mondo non tange, né avvince), faceva cenno di sollevare, come fosse il regista. Ed in effetti nell'opera un po' lo è, il regista di ciò che avviene, pronto a guidare i due soldati in travestimenti e finti suicidi per amore. I soldati son vestiti da soldati, in uniforme rossa e, poi, in abito orientale bianco, con tanto di turbante; le dame in completo blu-viola (di cui si assiste alla toletta a inizio secondo atto) e Despina da fantesca, grembiule bianco e abiti dimessi.
Tutte valide le voci scritturate, sotto la attenta bacchetta di Diego Fasolis alla testa dell'Orchestra del Teatro Regio, che delinea e arresta e seziona con precisione chirurgica la partitura mozartiana, facendone spiccare il valore e la raffinatezza di orchestrazione. Federica Lombardi, soprano, e Annalisa Stroppa, mezzosoprano, interpretano, nell'ordine, Fiordiligi e Dorabella: una più brava dell'altra, pari livello, ciascuna differenziata nel suo registro vocale. Buona prova anche per Lucia Cirillo, la vispa e furba Despina «che sa servir»: dopo un avvio lievemente sottotono (un po' gridato), si rifà confezionando una prova di tutto rispetto, catturando il favore del pubblico soprattutto in Una donna a quindici anni, trascinante aria del secondo atto che la dice lunga sull'esperienza di vita di questa macchinatrice nata. Simpatica anche nei ruoli del medico e del notaio en travesti, che interpreta nasalizzando comicamente il timbro.
Sul versante maschile troviamo Andrè Schuen nei panni di Guglielmo, baritono profondo e robusto, che prende il ruolo molto seriosamente, cosa che accentua il carattere del personaggio, basato sull'«onor di soldato». Giudizio ampiamente positivo anche su di lui, che si distingue non solo per i vari interventi (da Non siate ritrosi a Donne mie, la fate a tanti), ma anche per una notevole verve interpretativa. Lievemente meno prestante il Ferrando di Francesco Marsiglia, tenore leggero che trova il suo miglior registro espressivo nella calda e sospirante Un'aura amorosa e che riesce un poco forzato in Tradito, schernito, più mascolina. Come già nell'edizione dell'aprile 2012, anche in questo caso viene soppressa l'aria di Ferrando Ah, lo veggio, quell'anima bella, non si capisce se per volontà del tenore o del direttore, il quale ha, per contro, eseguito integralmente tutti i recitativi, non tagliando praticamente nulla, o per accordi contrattuali. Sopra tutti, meravigliosamente carismatico il Don Alfonso di Roberto de Candia, baritono dalla voce ora agile, ora greve, in grado di adattarsi camaleonticamente alle diverse necessità espressive. Completa il cast il Coro del Teatro Regio di Torino, chiamato in questo caso a ruoli marginali, principalmente il coro Bella vita militar , interpretato con cura e attenzione nella resa compatta e sincrona delle note.
Christian Speranza
20/7/2018
Le foto del servizio sono di Ramella&Giannese-Edoardo Piva.
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