Il trionfo del tempo e del disinganno
alla Scala di Milano
Al Teatro alla Scala per la prima volta nella sua lunga storia è stato rappresentato l'oratorio di Georg Friedrich Händel Il trionfo del tempo e del disinganno. La partitura fu composta e rappresentata a Roma nel 1707 quando il giovane compositore fece un viaggio di formazione per la durata di circa tre anni in Italia, soggiornando anche a Firenze, Napoli, Venezia. Nella capitale dello stato pontificio Händel entra con facilità nell'ambiente musicale molto prolifico delle corti private dei nobili cardinali romani. Era di casa dai Colonna, dai Pamphilij, dagli Ottoboni e dal marchese Ruspoli. Riceve in questo periodo molte commissioni di musica sacra tra cui l'oratorio in oggetto il cui titolo originario era La bellezza ravveduta nel trionfo del tempo e del disinganno il cui autore del libretto fu il suo protettore Benedetto Pamphilij. La forma oratoriale del tempo non si differenziava molto dall'opera lirica pur nella sua caratterizzazione per soggetto religioso o allegorico e la suddivisione in due parti. Nella Roma del ‘700 era lo spettacolo più rappresentato poiché l'opera lirica pubblica fu bandita perché ritenuta covo di malcostume e corruzione. L'oratorio “Il Trionfo”, per quanto definito tale, non s'identifica nello specifico dramma religioso ma non è nemmeno un'opera lirica, essendo i quattro protagonisti personificazione di concetti astratti e non è possibile definirla neppure cantata per le ampie dimensioni. Potremmo definirlo un “esemplare musicale” che raccoglie tutte le caratteristiche predette, nelle quali prevale una serie di arie di estrema raffinatezza in un alternarsi di situazioni e sentimenti contrapposti. Il tema principale è la relazione tra la falsità dei piaceri terreni e la verità della vita eterna, pertanto il libretto stilato dal cardinale è pressappoco una disputa sia morale sia teologica su un tessuto drammatico. Lo spettacolo creato a Zurigo nel 2003 e coprodotto con la Staatsoper di Berlino era curato nella regia da Jurngen Flimm e Gudrun Hartmann, con scene di Erich Wonder e costumi di Florence von Gerkan. L'idea registica un po' bizzarra di ambientare l'erudita discussione fra Bellezza, Piacere, Disinganno e Tempo attorno ad un tavolo di un elegante bistrot (si poteva scorgere la celebre Cupole di Parigi) trova una drammaturgia anche reale. I personaggi interagiscono con il mondo che affolla il locale, camerieri, venditori di passaggio, lavoratori. Penso che l'impianto della regia si fosse sviluppato sul concetto del comune mortale che discetta dotti argomenti, affrontando anche una conversazione morale-teologica seduto alla tavola del banchetto. La scena è astratta, determinando che la discussione è adatta a tutte le epoche e non circoscritta a un periodo preciso. Tale concezione è rafforzata da costumi di varie epoche, dal segno della verità fuori dallo spazio scenico, cui fanno da contraltare l'organo e il musicista settecentesco che si riferiscono al periodo della composizione. La scena è di forte impatto e molto elegante, cui contribuiscono dei costumi di raffinata sartoria, anche se è lecito rilevare che il personaggio di Disinganno poteva essere più curato.
Musicalmente abbiamo apprezzato l'ottima orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici in collaborazione con “I Barocchisti” che ha reso il perfetto stile handeliano con una sonorità elettrizzante. Merito anche del direttore Diego Fasolis, esperto e filologico esecutore, che ha concertato la difficile partitura con assoluta competenza e ha vivificato le numerose arie con mano energica e altrettanta eleganza, calibrando con precisione e perizia la sonorità orchestrale con quella delle voci, le quali hanno avuto anche il pregevole apporto di frizzanti variazioni nei da capo delle arie.
Nel cast primeggiava il Disinganno di Sara Mingardo, autentica raffinata cantante con stile inappuntabile e una precisione stilistica da manuale, sia nel recitativo sia nelle difficili arie. Leonardo Cortellazzi, Tempo, ha offerto una prova convincente e si sta affermando come uno dei maggiori interpreti in questo repertorio. Fornito di timbro caldo, pieno e sorretto da una tecnica rilevante, ha reso il ruolo con estrema precisione e incisività su colori e fraseggio. Lucia Cirillo, Piacere, ha offerto una pregevole interpretazione in un ruolo di estrema difficoltà. Precisa nelle acrobazie vocali, anche se non sempre stilizzata, ha saputo reggere il ruolo con estrema eleganza e un'interpretazione molto emozionante soprattutto nell'aria “Lascia la spina”. Martina Jankova, Bellezza, era l'unica della compagnia con voce non particolarmente seducente e uno stile non sempre preciso, ma nel complesso portava al termine il suo compito con onore.
Spettacolo e partitura sicuramente non facili e d'ascolto impegnativo che hanno conquistato il numeroso pubblico in sala, il quale al termine ha tributato un vibrante successo a cantanti, direttore e orchestra.
Lukas Franceschini
18/2/2016
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano -Teatro alla Scala.
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