Parigi
Les Troyens
in ricordo dell'inaugurazione dell'Opéra Bastille trent'anni fa
Questa è la terza volta, contando quella data inaugurale, che la prima scena lirica parigina riprende questo titolo fondamentale – vorrà dire che il più ambizioso sforzo di tutta la vita di Berlioz si vede all'Opéra con una cadenza decennale? Per non mancare all'abitudine hanno dato forfait uno dei due tenori annunciati (Bryan Hymel) e la star Elina Garança che doveva debuttare la parte di Didone. Il nuovo allestimento per la regia di Dmitri Cherniakov era ancora oggetto di contestazione alla terza recita: pare che la prima la sua presenza sia stata salutata con un uragano di fischi. E non senza ragioni. Il regista russo è intelligente ma spesso arbitrario, e questa volta la sua ‘visione' faceva a pugni con musica e testo, in particolare nella seconda parte quando Cartagine diventava un centro di recupero psicologico per malati di guerra. La prima parte – la caduta di Troia – identificata probabilmente con una delle recenti guerre in territorio europeo (il regista non ce la fa se non mette dei giornalisti e la tivú) aveva come elemento più polemico la visione dei reali di Troia e famiglia, dove nessuno si salvava – pare che Priamo avesse avuto voglie indecenti rispetto alla figlia Cassandra che così è diventata dispettosa e ribelle, l'indovino Heleno è uno scemo, la regina Ecuba tra le più idiote delle ‘first lady', e via dicendo. L'allusione al tradimento di Enea figura nelle tradizioni parallele medievali ma credo che Berlioz non sarebbe stato troppo contento di questa ‘trovata', e ancora meno della soppressione delle danze e della scena dei soldati troiani e che momenti di musica agitata venissero trattati in modo assolutamente statico, Della caccia reale meglio non parlare. E mi fermo qui.
Philippe Jordan è un bravo direttore e ha diretto bene ma forse troppo accademicamente, in modo troppo moderato (magari per rispetto ad alcune delle voci in palcoscenico) e la tensione veniva a mancare più di una volta. L'orchestra suonava benissimo. Il coro, che qui è quanto mai importante, diventava una delle colonne portanti della serata, magnificamente preparato da José Luis Basso. Stéphanie d'Oustrac era una brava Cassandre, di voce di dimensioni modeste ma bel colore, buona dizione, brava attrice. Brandon Jovanovich a forza di cantare il ruolo sta diventando un bravissimo Enea: ora quasi tutti gli acuti sono a posto e pazienza per le mezzevoci (se era inutile chiederle a Del Monaco quando ha cantato il ruolo alla Scala...) e qui molto più convincente anche come attore. Ekaterina Semenchuk (Didone) era senz'altro la voce più bella e importante di tutta la compagnia, ma, come nel caso del tenore, non sempre era comprensibile e, non so se perchè fare la finta regina essendo una povera pazza è qualcosa non facile da credere, sembrava poco immedesimata nella parte anche se si faceva in quattro per rispondere a quanto le si chiedeva. Da rilevare nella prima parte nel bel ruolo di Chorèbe la presenza del notevole Stéphane Degout. Perchè dovessero andare i piccolissimi ruoli cantati di Ecuba e Priamo a cantanti famosi come Véronique Gens e Paata Burchuladze mi risulta un mistero. Bene gli altri: Aude Extrémo (Anna), Cyrille Dubois (Iopas), un po' meno Christian Van Horn (Narbal), Bror Magnus Todenes (Hylas). Interessanti nei brevi ruoli rispettivi Thomas Dear (Fantôme d'Hector) e Christian Helmer (Panthée). Moltissimo pubblico ma non con l'agognato tutto esaurito , e sulle reazioni mi sono già espresso, ma va sottolineato che la compagnia di canto, coro, orchestra e i rispettivi maestri venivano unanimemente applauditi.
Jorge Binaghi
7/2/2019
La foto del servizio è di Vincent Pontet.
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