Il trovatore
al Teatro Giuseppe Verdi di Padova
Inaugurata la Stagione Lirica al Teatro Comunale “G. Verdi” con una produzione de Il Trovatore di Giuseppe Verdi, proveniente dal Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, in coproduzione con il Bassano Opera Festival. L'esito generale della serata non è stato del tutto positivo e l'elemento più discutibile è stata la presenza sul podio del maestro Alberto Veronesi, il quale ha compromesso in maniera decisiva lo svolgersi dell'esecuzione. Veronesi si è prodigato in una direzione del tutto incomprensibile musicalmente con tempi personali altalenanti, senza alcun criterio di concertazione con il palcoscenico come se i cantanti e l'orchestra non dovessero essere un tutt'uno ma due enti a sé stanti e paralleli. Ne consegue un'assenza totale di colori, dinamiche imbarazzanti e un linguaggio interpretativo verdiano notevolmente fuori dall'ordinaria esecuzione. Nella mano del direttore pare mancasse il senso teatrale che un'opera così affasciante e ricca di atmosfera come Il Trovatore offre su un piatto d'argento, sempre ammesso che si voglia servire come il compositore suggerisce, e di daccapo e gusto “verdiano” non è nemmeno il caso di parlarne. In più occasioni ho avuto la percezione che i cantanti andassero per conto proprio e il direttore si adeguasse a seguirli, poiché se fosse avvenuto il contrario, il risultato sarebbe stato ancor più disastroso. In tale situazione anche la prova dell'Orchestra di Padova e del Veneto, solitamente molto più apprezzabile, è penalizzata e si potrebbe supporre che non ci sia stato quel feeling necessario, di dialogo e comunicazione, tra i professori e il podio. Più positiva la prova del Coro Lirico Veneto, istruito da Stefano Lovato, che conferma una solida professionalità.
Nel cast, in generale sommario, un solo elemento brilla di luce propria, ed è il baritono Enkhbat Amartuvshin. Il cantante debuttò trionfalmente in un concerto la scorsa primavera a Verona, cui seguirono alcune recite di Rigoletto, in estate, all'Arena, accolte con grandi favori da parte di pubblico e critica. A Padova ha riconfermato le caratteristiche di baritono nobile, voce ampia e ben amministrata in tutta la gamma, capace di canto elegante e sfumato, ricco di accenti e con un fraseggio molto accurato. Una prova davvero positiva come da qualche tempo non ascoltavamo in teatro, con la speranza che in futuro migliori l'arte attoriale, ancora un po' grezza, e non si riveli la consueta meteora nel panorama lirico.
Walter Fraccaro, Manrico, è il solito cantante abbastanza sicuro che esegue il tutto con un'impostazione senza rilevanti espressioni. Il timbro è ancora solido, ma l'intonazione precaria, il fraseggio a sprazzi eloquente, sfumature e accenti sommari, impegnandosi in una recita senza infamia né lode. Precaria anche la Leonora di Maria Katzarava, al debutto nel ruolo ma affrontato con troppa disinvoltura e forse poco tempo di studio. Del tutto diversa dalla Lina nello Stiffelio al Verdi Festival di Parma il mese scorso, la cantante sfodera anche in quest'occasione una voce importante e una discreta musicalità, ma in una parte “cantata” a tutto tondo come in Trovatore non si può barare. Ecco che una tecnica non precisa denota un registro acuto forzato e limitato, mezzevoci e fraseggio sono approssimativi e la pesantezza del ruolo rende una decrescente resa vocale nel corso della recita. Considerate le caratteristiche vocali sarebbe auspicabile una maggior preparazione dei ruoli, anche in questo caso per non perdere una cantante che avrebbe, probabilmente, qualcosa da dire nel prossimo futuro. Forse l'emozione, forse la poca sintonia con il direttore, o la memoria non perfetta, nel primo atto la cantante ha pasticciato il recitativo e cadenza tra aria e cabaletta.
Judit Kutasi, Azucena, conferma la regola odierna di molti soprani drammatici impegnati in ruoli da mezzosoprano. La cantante, che possiede un timbro rilevante e una buona arte attoriale, è costretta ad abusare di suoni forzati nel grave, sovente sfogati, tuttavia pur possedendo facilità in acuto si guarda bene dall'eseguire il do nella stretta del duetto con Manrico.
Il Ferrando di Simon Lim, anch'egli in possesso di voce profonda e non comune, si colloca nella classica routine quanto a interpretazione e metodo di canto. Piuttosto anonimi i ruoli secondari, che svolgono il loro compito con sufficienza risicata: Carlotta Bellotto (Ines), Orfeo Zanetti (Ruiz), Luca Bauce (vecchio zingaro), Luca Favaron (un messo).
Resta infine lo spettacolo, creato interamente da Filippo Tonon, coadiuvato da Cristina Aceti quale costumista. Allestimento molto scarno scenograficamente, ma godibile sotto l'aspetto visivo per un gusto romantico che si rifà più all'epoca della composizione verdiana che alla reale collocazione storica della vicenda. Molto efficaci i cambi scena, veloci e costituiti da pochi elementi portati in scena da figuranti e coro, corrispondono all'azione. I costumi sono di grande fattura e illuminano il palcoscenico, in particolare quelli di Leonora. Non mancano nella visione del regista alcuni riferimenti pittorici ben inseriti nell'ambiente, tuttavia mi è parso del tutto fuori stile il campo di papaveri illuminato a giorno nel I atto quando invece dovevamo trovarci in una buia notte. Non del tutto plausibile la pantomima delle ancelle quale preludio al corteo che avrebbe dovuto portare Leonora al convento. La scena migliore è quella del carcere, delimitata da una grata e un'efficace illuminazione. Non sempre il disegno luci seguiva di pari passo l'azione e lo sviluppo sui singoli personaggi non sempre era messo a fuoco, ma è uno spettacolo “essenziale”, tradizionale ed estetico, credo come nelle intenzioni del regista, che regge la scena.
Al termine, come spesso accade nei teatri di provincia, successo incontrastato ed entusiasmante per tutti, anche se l'ovazione l'ha ricevuta il solo Enkhbat Amartuvshin.
Lukas Franceschini
15/11/2017
Le foto del servizio sono di Giuliano Ghiraldini-Teatro Verdi di Padova.
|