Peralada
Buona Turandot
L'opera scelta per il Festival di quest'anno era la difficile Turandot pucciniana, in un nuovo allestimento per la regia di Mario Gas (un ben noto regista teatrale nonché attore in Spagna), con due recite anziché una sola, e non so se si tratterà di una nuova e benvenuta politica o magari solo do un'eccezione dovuta al 30º anniversario. Molto adatte le scene di Paco Azorín, bellissimi i costumi di Antonio Belart, che riprendevano tutte le epoche della Cina, e molto buone le luci di Quico Gutiérrez. Il tutto molto ‘essenziale', e predominavano i colori scuri ma soprattutto il rosso (morte-amore passionale); buona la direzione degli artisti, che cercavano di dare il massimo. In più, un taglio alla fine dopo la morte di Liù: si spiegava (voce di Gas con la megafonía) a un pubblico che non sembrava troppo al corrente la nota storia della prima assoluta con la decisione di Toscanini di fermarsi a quel punto e solo alla seconda recita di arrivare fino alla fine, con il lavoro di Alfano sottomesso a non pochi tagli fondamentali: così si è fatto ancora questa volta ma con tutti gli interpreti e il coro vestiti da sera per una specie di versione di concerto. Non mi pare che questa decisione non abbia recato ulteriori danni alla difficoltà di questa scena finale di qualità drammatica e musicale ben diversa del resto dell'opera, ma non meno difficile da cantare.
Memorabile l'intervento del coro Intermezzo (da Madrid, di casa anche al Teatro Real), istruito questa volta da Enrique Rueda. Buono, ma a livello un po'diverso, il lavoro dell'orchestra sinfonica del Gran Teatre del Liceu sotto la bacchetta tutto sommato corretta di Giampaolo Bisanti. Irene Theorin, eccellente artista e buona cantante, con delle limitazioni in acuto ben chiare ma che non arrivavano a inficiare una prestazione soddisfacente nell'insieme, incarnava la protagonista. Accanto a lei, molto buono il Calaf di Roberto Aronica, forse un tantino ‘prudente' all'inizio, ma buon conoscitore della vera scuola di canto ‘all'italiana', con dei grandi momenti negli atti secondo e terzo: molto applaudito ‘Nessun dorma', cantato molto meglio che non la serata precedente da un suo prestigioso collega. Chi gli rimprovera di avere omesso il famoso acuto non scritto ma ‘tradizionale' nella scena degli enigmi –piuttosto volgare e poco credibile drammaticamente secondo il sottoscritto – dimostra di preferire l'effetto alla linea di canto e l'eleganza, e questo quando ci sono parecchi veri grandi che non l'hanno mai tentato, neanche in incisioni commerciali. Molto interessante il materiale del giovane basso Andrea Mastroni, benché il suo Timur non sia stato molto credibile dal punto di vista scenico. Maria Katzarava era molto applaudita nei panni di Liù: la voce è buona, ma le mezzevoci e i suoni filati (che almeno questa volta cercava di emettere) non sono neppur lontanamente quel che dovrebbero. Molto bravo l'Altoum di Josep Fadó, appena discreto il Mandarino di José Manuel Dìaz, e ottime le tre maschere per canto, affiatamento ed interpretazione – viene loro richiesto molto e hanno dato ancora di più, visto che secondo questa visione si danno a tutti i vizi compresa la tortura nella scena finale di Liù, forse un po' troppo: Manel Vicent (Ping), Francisco Vas (Pang) e Vicenç Esteve Madrid (Pong). Il pubblico – non c'era un posto vuoto – dimostrava di gradire.
Jorge Binaghi
12/8/2016