Firenze
Un Così… così ma…
Il Maggio Musicale cerca anche a modo suo di mandare avanti la sua stagione: un'unica recita in diretta con presenza molto ridotta di pubblico che deve prima di entrare in sala superare un test sierologico. Questa si filma e poi viene diffusa in streaming nel giro di più o meno un mese. Per ottenere questo si fanno delle prove e controlli severi per tutti gli addetti ai lavori come se si facesse il ciclo completo delle recite. Vale però la pena lo sforzo, anche con una città poco frequentata (nel caso di Firenze magari sarà una fortuna se quasi tutto non fosse chiuso).
Naturalmente la prima cosa che vale la pena è il titolo. Il lavoro più amorale di Mozart e Da Ponte, che oggi appunto pare il più moderno o attuale.
Zubin Mehta con la bacchetta in mano, sovrapponendosi instancabilmente alle malattie e acciacchi dell'età, sempre da guardare come esempio. E va bene, ci sono segni di stanchezza e nei tempi predomina un respiro ampio ma lento che ad un tratto si fa veloce, e qualche momento di volume un po' forte, ma gli orchestrali e il maestro hanno una intesa particolare, tutta loro, e questo conta eccome.
Il coro fa bene quel non molto che è tenuto a fare (preparato da Lorenzo Fratini) anche se uno dei pochi errori della regìa di Sven-Eric Bechto (tra le meno insipide che ho visto di lui, forse perché più tradizionale) è quella di metterli a ballare come rockettari aficionados proprio durante Bella vita militar. Bellissimi i costumi di Kevin Pollard, non troppo interessanti le scene di Julian Crouch, e molto bene le luci (Alex Brok).
Si sa quanto sia difficile trovare una compagnia equilibrata, con sei protagonisti adatti ai loro ruoli. Neanche questa è stata la volta. A cominciare dal precario stato vocale di Thomas Hampson (Alfonso), sempre artista notevole, ma perfino in una parte come questa in difficoltà. Valentina Nafornita non risponde alle caratteristiche richieste per la parte micidiale di Fiordiligi, e tranne acuti e qualche suono filato quando si sente non desta ammirazione; l'attrice è corretta ma non di più. Più vivace, ma con l'inconveniente di un timbro e una emissione che più slavi di così non si può, la Dorabella di Vasilisa Berzhanskaya, di per sé una buona voce e capace di affrontare le difficili variazioni della sua seconda aria. Matthew Swensen è il tipico tenorino di scuola anglosassone, corretto, non troppo ispirato, di voce metallica, piccola (ma soprattutto mal proiettata) e timbro discreto, attore anch'esso volenteroso. Ma ci sono i due restanti che corrono al riparo e fanno salire il livello (e la temperatura) della recita. Benedetta Torre è semplicemente perfetta in giovanissima età nei panni di Despina: tutto quanto fa, dice e canta è appunto quanto si spera e desidera; la voce molto bella e l'attrice disinvolta senza volgarità né caccole (penso ai due travestimenti di medico e notaio). Il Guglielmo di Mattia Olivieri forse non stupisce altrettanto perché ormai si è abituati all'elevata qualità delle sue prestazione. Dopo il Don di Macerata si conferma definitivamente come la voce ideale per Mozart (ma non solo): sempre bella e omogenea ma ancora in sviluppo in attesa di altri repertori (ma per piacere che non lasci Mozart!); stile e tecnica impeccabili e poi lo si sente praticamente sempre (in questa sala non è impresa da poco) perché in quanto a volume risulta lo strumento più generoso. Il carisma scenico sarebbe anche scontato se non fosse così in rilievo (anche quando gli tocca di eseguire movimenti di regia non proprio i migliori). In questi due casi dovrei risalire molto indietro per trovare dei loro pari. Gli applausi finali dei pochi presenti servivano almeno non tanto per ricompensare gli artisti quanto a dare un senso ai loro saluti (lo so che è una pratica comune per ringraziare lo spettatore invisibile ma quando li si vede con un silenzio assordante la tristezza delle circostanze si fa ancora più palese).
Jorge Binaghi
5/4/2021
La foto del servizio è di Michele Monasta.
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