Un gradito ritorno
La Gioconda mancava dal palcoscenico del Bellini di Catania dal 2006, e ritrovarla a chiudere la stagione 2024 è stato senz'altro un regalo per chi ama il capolavoro di Amilcare Ponchielli, un'opera sontuosa, specie quando se ne rispetta la giusta ambientazione, ricca di pagine celeberrime, divenute cavallo di battaglia dei più grandi cantanti, ma soprattutto nella quale è incastonato un gioiello prezioso, eseguito sempre e comunque, magistralmente rivisitato da un genio dell'animazione come Walt Disney: la Danza delle Ore.
Le premesse per un grande successo al Bellini, la sera del 13 dicembre, giorno della prima, con repliche che si protrarranno sino al 31, c'erano tutte: un cast vocale di buon livello, una scenografia magniloquente e fastosa, una regia abbastanza accurata, costumi fedeli, a cura di Francesco Esposito e Giovanna Adelaide Giorgianni, e una direzione attenta e scrupolosa come quella di Fabrizio Maria Carminati, che ha condotto l'orchestra con mano sicura, soprattutto nelle grandi scene d'insieme, riuscendo a tenere insieme coro, buca e cantanti senza mai una sbavatura, badando a non soverchiare le voci soliste e lasciando che gli assolo strumentali emergessero in tutta la loro purezza e significanza. Affidata a un direttore senza dubbio in grado di dosare i tempi non in sé, ma con occhio vigile al complesso dell'opera, l'orchestra del Bellini è stavolta riuscita a dare il meglio di sé, permettendo così che il colore della splendida partitura venisse in piena luce, e al contempo che i solisti fossero a loro pieno agio in tessiture non sempre agevoli, e che talvolta esigono un notevole sforzo da parte dei cantanti.
Sul piano visivo, la grande scalinata sovrastata dal Leone di San Marco, ideata dal regista e scenografo Francesco Esposito, era una cornice davvero suggestiva per il primo atto, così come il brigantino che dominava la scena nel secondo, mentre per la seconda parte del terzo si ritornava alle debordanti sontuosità secentesche con la stessa scalinata a troneggiare al centro della scena, cosa che a chi conosce l'opera dava abbastanza da pensare, visto che di lì a poco ci sarebbe stato il momento senz'altro più atteso dello spettacolo, appunto la Danza delle Ore. Una perplessità del tutto motivata, dato che non si capiva dove avrebbero dovuto muoversi i ballerini, visto che per sovrappiù il centro della scena era ingombro anche da un grande tavolo dove in precedenza si era accasciata Laura, l'infelice sposa di Alvise Badoero: in effetti, tale scelta registica ha penalizzato oltre ogni dire l'aspetto coreutico, di modo che la celeberrima Danza, più che una danza, ha visto solo movimenti scenici a dir il vero piuttosto eleganti (mentre la Furlana del primo tempo faceva molto ben sperare…), ma che poco o nulla avevano a spartire con la musica, in particolare con l'impetuoso can-can finale dove i danzatori, costretti sul tavolo di cui sopra, svolgevano i loro movimenti in maniera talmente lenta da far pensare a un prescritto rapporto di proporzionalità inversa con i tempi orchestrali. Onore al merito comunque al corpo di ballo AltraDanza e al coreografo Domenico Iannone, che sono comunque riusciti a salvare almeno l'aerea levità della prima parte del balletto. Ottimo invece il taglio luci, altro elemento di spicco dello spettacolo, affidato a Antonio Alario.
Quanto alle voci, va innanzitutto segnalata l'ottima interpretazione de La Cieca da parte di Agostina Smimmero, contralto dotato di una voce piena e calda e di un'espressività accorata e dolente che le ha permesso di cantare in maniera davvero superba la celebre “A te questo rosario”, mentre la sua disinvoltura scenica le ha consentito di rendere in modo quanto mai verosimile la cecità del personaggio, in un equilibrio perfetto, anche dal punto di vista vocale, tra l'amore materno, la tristezza della tenebra in cui si muove e la celeste ingenuità di una donna che trova nella fede incondizionata il suo unico e vero faro. In ruolo anche il basso George Andguladze, il perfido Alvise Badoero: dotato di una voce ben timbrata, gestita con sicurezza e con buona tecnica, ha trovato i giusti accenti in tutta la scena prima dell'atto terzo, evidenziando una zona media di notevole impatto e una disinvoltura attoriale che gli ha permesso di tenere agevolmente il passo col temperamento fieramente drammatico di Anastasia Boldyreva, che impersonava Laura, sposa di Badoero e rivale di Gioconda. La Bolrdyreva è un mezzosoprano dotato di una voce quanto mai interessante, con una zona medio-grave sempre immune da cedimenti, brunita e piena, che si accoppia a una zona acuta di rara luminosità, e la sua quasi magnetica presenza scenica, unita a una gestualità sicura e impetuosa, riesce a farla facilmente primeggiare nei ruoli a lei affidati, talvolta anche a scapito della primadonna; è accaduto sullo stesso palcoscenico del Bellini, in occasione dell'Adriana Lecouvreur del 2023, dove interpretava la crudele principessa di Bouillon, mentre la protagonista eponima era Rebeka Lokar: il mezzosoprano russo ha letteralmente dominato la scena nell'opera di Cilea, così come in questa Gioconda ha lasciato prorompere tutta la sua espressività drammatica nel duetto del secondo atto con la protagonista eponima, duetto nel quale ha decisamente messo in ombra, sia vocalmente che attorialmente, Anna Pirozzi, la cui vocalità, che sarebbe dovuta essere ben più incisiva, tagliente e cupa (anche per quel che recitavano le battute a lei affidate), è risultata invece quasi sfocata e priva della passionalità dell'amante tradita dinanzi all'esplosione appassionata della Boldyreva.
E in effetti Anna Pirozzi, pur se soprano dotato di ottima tecnica, di buona tenuta di fiato e di grande eleganza nei portamenti e nel fraseggio, è rimasta in certo senso sempre al di qua di Gioconda, riuscendo a infondere sì la rassegnata pietà della donna tradita nel quarto atto, ma niente affatto la focosa e irruente passionalità di Gioconda, e questi limiti sono stati evidenti soprattutto nella tanto attesa (anche questa) “Suicidio!” che, pur se cantata in maniera fedele, non è riuscita a far passare quasi nulla della disperazione dell'infelice cantatrice, della sua desolazione, evidenziando purtroppo una zona grave non sufficientemente sonora e salda per questa impervia aria.
Il tenore Ivan Momirov, Enzo Grimaldo, pur se provvisto di una voce abbastanza estesa e di una discreta tecnica, non è purtroppo riuscito ad avere ragione senza difficoltà della parte a lui affidata: non sempre del tutto a suo agio nell'ardua tessitura, ha offerto un “Cielo e mar” abbastanza espressivo, ma privo di quella morbidezza di accenti e facilità di emissione necessarie per cantare al meglio questa celebre aria.
Ma in questa Gioconda sontuosa e monumentale il vero trionfatore, sia da un punto di vista attoriale che canoro è stato Franco Vassallo, nei panni del perfido Barnaba, uno dei tre cattivi operistici, assieme a Scarpia e Jago, più biechi ma più pericolosi per ogni baritono: perfettamente a suo agio nei panni dello spione, viscido e insinuante, passionale e crudele, ha sfoderato una tecnica vocale eccellente, unita a un'ottima dizione e a un fraseggio di prim'ordine, e il suo “O monumento!” è stato ricompensato dal pubblico con una vera e propria ovazione.
Ancora sul versante vocale, oltre all'ottima prestazione del coro del Bellini istruito come sempre da Luigi Petrozziello, che è riuscito a trovare un ottimo equilibrio pur nelle irruente sonorità talvolta previste dalla partitura, e a quella del coro di voci bianche “InCanto” diretto da Alessandra Lussi, vanno citati per dovere di completezza i comprimari Ettore Lee (Zuane e un pilota), Giovanni Palminteri (un cantore e un barnabotto) e Nicola Pamio (Isepio).
Giuliana Cutore
14/12/2024
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.