RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Urlo Mediterraneo e Cavalleria Rusticana

al Teatro Antico di Taormina

Il naufragio è ormai entrato nella nostra quotidianità: non passa quasi giorno che i media non riportino notizie di barconi affondati, di salvataggi in extremis, di scafisti senza scrupoli molto simili ai mercanti di schiavi dell'antichità. Il rischio reale sembra sia quello di abituarsi a tali notizie, e in quest'ottica è certamente lodevole inserire tale tragico tema anche nel mondo della danza, nel tentativo di renderlo meno consueto, abituale, neutro.

Appunto il tema del naufragio era il filo conduttore del balletto presentato a Taormina il 2 agosto nell'ambito della rassegna Taormina Opera Stars, dal titolo Urlo Mediterraneo, sul testo di Lina Prosa Ritratto di un naufrago numero zero, a cura della ITAI Compagnia Danza Contemporanea, per la regia e coreografia di Lino Privitera: uno spettacolo breve e intenso, affidato alle plastiche, quasi scultoree movenze dei danzatori Kristi Ismailaj, Hakik Xhani, Vincenzo Tallarico, che delineavano figure di naufraghi, scandendole sul lungo monologo recitato da Emanuela Muni, con musiche che prevedevano anche l'Allegretto (2°movimento) dalla sinfonia n.7 di Ludwig van Beethoven e il celeberrimo finale del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini.

Va senz'altro detto che l'abilità coreografica di Privitera ha praticamente fatto miracoli, riuscendo a riempire con soli tre danzatori un palcoscenico quale quello del Teatro Greco, e che la sua particolare interpretazione della danza, più attenta all'espressione corporea e alla plasticità della muscolatura maschile, sembra quasi suggerire un connubio danza-scultura di rara efficacia; tuttavia, non può tacersi che l'eccessiva lunghezza del testo ha di fatto nuociuto all'aspetto coreutico, da un lato impedendo allo spettatore di concentrarsi almeno per qualche tempo esclusivamente sulla danza e sulla coreografia, dall'altro creando una vorticosità e una rutilanza verbale, accresciuta anche dalla recitazione concitata di Emanuela Muni, che impedivano sia una buona comprensione del testo, a tratti molto criptico ed eccessivamente denso di baroccheggianti figure retoriche, sia una reale interrelazione tra danza e parola, che molto spesso si sovrapponevano a tutto danno della coesione dello spettacolo.

Di tono assolutamente diverso la seconda parte della serata, dedicata ad un'opera divenuta ormai un classico delle estati taorminesi: Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, sempre per la regia di Lino Privitera, che ha davvero offerto un'assoluta compenetrazione tra danza e lirica. La religiosità della Pasqua, sul cui sfondo si svolge la vicenda di amore e sangue di Turiddu, Santuzza, Lola e Alfio, è emersa in tutta la sua pregnanza nella scena della processione, dove il corpo di ballo di Privitera ha mostrato grande professionalità, sicura tecnica e grandissima aderenza alla musica di Mascagni, insistendo nello stesso tempo sull'aspetto più barocco e cupo del cattolicesimo isolano, in cui la Pasqua è più momento di morte che di resurrezione, di crocifissione che di giubilo. Il particolare insistere del regista sulla morte del Cristo (un uomo in carne e ossa tirato giù dalla croce e deposto dai danzatori) si concretava nella scena finale, dove Turiddu morto, crocifisso dalla spietata logica siciliana che imponeva il duello d'onore tra il marito e l'amante, viene riportato in scena insanguinato ai piedi della croce, in una circolarità dove pregiudizio religioso e pregiudizio sociale si unificano nelle loro deleterie conseguenze, nulla lasciando alla reale religiosità del cristianesimo e alle oscure contraddizioni dell'amore e della carne, espressioni entrambe di sentimenti che non si lasciano irreggimentare dalle convenzioni sociali.

Su questa regia di grande impatto scenico ed emotivo, dove nessun movimento veniva lasciato al caso, e dove la distribuzione cromatica dei costumi de La Bottega Fantastica di Daniele Barbera creava un'atmosfera dai colori caldi che richiamava le assolate campagne del vizzinese, si innestava una scenografia che si inseriva perfettamente nello scenario naturale della cavea, e che nello stesso tempo permetteva di creare passaggi per i movimenti delle masse corali e dei protagonisti, riproducendo con fedeltà una piazza paesana con le sue botteghe e i suoi cortili. Sensata e coerente anche la scelta dei costumi in stile anni '50, tutti di taglio popolano tranne l'abito rosa di Lola, macchia di colore che ricordava il vestito rosso della bimba di The Schindler's List.

Sul fronte musicale, il Coro Lirico Siciliano, diretto da Francesco Costa, ha fornito una prova egregia, evidenziando la morbidezza di suono, la coesione e la fedeltà alla partitura che già conoscevamo, ma che si può senz'altro dire sia cresciuta nel tempo, fornendo all'ensemble una professionalità sempre più alta e una specificità artistica che ne fa un coro che riesce a inserirsi nell'opera come un personaggio a tutti gli effetti, sia da un punto di vista musicale, sia da quello drammaturgico, visto che la gestualità, i movimenti e le distribuzioni delle masse vengono curati alla stessa stregua della vocalità.

L'orchestra del Taormina Opera Stars, pur disimpegnandosi relativamente bene, ha mostrato purtroppo alcune manchevolezze, dovute sia allo squilibrio di fondo tra archi e fiati, sia soprattutto alla capacità del direttore Mariano Patti di compattare la compagine e di calibrarla sulle voci. L'esiguo numero degli archi, soprattutto violini e viole, ha fatto sì che non si riuscisse a creare un equilibrio appropriato con i fiati, in particolare gli ottoni, con risultati a tratti viranti sul bandistico, ma molto più spesso slegati e talvolta soverchianti i cantanti; vanno inoltre rilevate delle imprecisioni negli attacchi e una limitata attenzione all'espressività, la quale ultima si è tradotta in una certa asetticità evidenziatasi soprattutto nell'Intermezzo. Buona la prova dell'organo, mentre gli assolo di arpa risultavano alquanto rigidi e poco morbidi.

Quanto ai solisti, Marianna Cappellani, nel ruolo di Santuzza, ha dato prova di una discreta tecnica vocale, unita a buone sonorità nella zona media: mancava tuttavia quella potenza necessaria al canto verista, il che si è tradotto assai spesso in acuti forzati o scoperti, uniti ad una zona grave poco nitida. Non eccelsa la dizione né la gestualità, alquanto oleografica, specie nei duetti con Turiddu e Alfio, rispettivamente Delfio Paone e Giorgio Schipa: il primo si è disimpegnato a fatica nella tessitura, rifugiandosi talvolta nella mezza voce o all'opposto nell'urlato, con un canto spesso sbiancato; il secondo ha mostrato notevoli difficoltà nella resa del personaggio, sia in “Il cavallo scalpita”, sia soprattutto nel duetto con Santuzza, dove il suo “Ad essi io non perdono” nulla ha avuto della potenza e della rabbia che ci si sarebbe aspettato, pur se almeno da un punto di vista drammaturgico ha mostrato una discreta efficacia. Ottimo invece lo stornello di Lola, interpretato da Sabrina Messina con buona musicalità e notevole scioltezza.

In margine, va registrato che il Taormina Opera Stars ha conferito, a inizio serata, un premio alla carriera al direttore d'orchestra Donato Renzetti.

Giuliana Cutore

3/8/2016