RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


L'affettuoso Schumann, l'eroico Beethoven

Due evergreen, quelli eseguiti al ventiduesimo appuntamento della stagione con l'Orchestra Sinfonica della Rai all'Auditorium Arturo Toscanini di Torino, giovedì 15 e venerdì 16 maggio 2014: il Concerto per pianoforte e orchestra in la minore Op. 54 di Schumann e la Sinfonia n°3 in mi bemolle maggiore Op. 55 “Eroica” di Beethoven, sotto la bacchetta di Juraj Valcuha. Brani dal fascino melodico innegabile e di ascolto gratificante. Meno gratificante è stata invece la lettura che ne è stata data. Valcuha ha abituato il pubblico ad interpretazioni energiche, briose, soddisfacenti: strano, quindi, che si sia abbandonato ad un rallentamento così marcato come quello che ha segnato l'intero primo movimento del Concerto schumanniano, Allegro affettuoso. Sedeva al pianoforte Michail Pletnëv, senza dubbio personalità di spicco del mondo musicale contemporaneo, fondatore e primo direttore della Russian National Orchestra (RNO), giudicata nel 2008 una delle orchestre più importanti del mondo dalla rivista inglese Gramophone, nata in seguito ad un concerto tenuto da Pletnëv nel 1988 a Washington, alla presenza di Gorbaciëv. Si deve forse a questi e ad altri vanti del curriculum di Pletnëv la discordanza che abbiamo percepito tra solista e direttore? Direttore d'orchestra Pletnëv stesso, è nostra convinzione che vi sia stata una prevaricazione su Valcuha in sede di prove, che ha portato ad un condizionamento da parte di quello su questo: ubi maior, minor cessat: ma non sempre è un bene. La direzione di Valcuha ha deluso, e con essa anche l'interpretazione di Pletnëv, perché non ha risposto quasi per nulla, a nostro avviso, allo spirito del brano. Dopo il mi di tutta l'orchestra, all'inizio del brano, ci saremmo aspettati la cadenza d'apertura del pianista eseguita con un certo cipiglio – l' affettuoso dell'indicazione agogica riferendosi soprattutto al primo tema affidato all'oboe, subito dopo l'introduzione. Pletnëv ha invece indugiato, soffermandosi a lungo sul primo accordo del suo strumento (come se iniziasse il Quarto Concerto di Beethoven, per intenderci), eseguendo la cadenza au ralenti e costringendo così il resto dell'orchestra a seguirlo sul suo stesso passo. Sebbene possa trattarsi di interpretazioni personali ed opinabili (de gustibus …), ci è parsa, questa, un po' troppo caricata (o caricaturale?). Si può fantasticare su uno Schumann languido e affettuoso, che si abbandona a rallentamenti ed elasticità di tempo (impensabili in una Sonata di Mozart, per esempio, o in una Suite di Bach) in virtù di un afflato romantico portato all'estremo; ma vi sono eccessi che non possono essere visti se non come stravaganze d'artista. Tecnicamente non si discute: Pletnëv si colloca ai vertici del pianismo contemporaneo; e d'altro canto l'esecuzione, complice anche un'orchestra (come al solito) impeccabile sotto la direzione di Valcuha, dalle sfumature coloristiche accurate, avrà soddisfatto gli ascoltatori più sognanti.

Poco gratificante è stato anche il comportamento di Pletnëv al termine dell'esecuzione: se giovedì 15 ha concesso un encore facendolo cadere dall'alto dopo numerosi richiami, il Notturno in do diesis minore postumo di Chopin (dove tutto il languore e i rallentati hanno trovato piena giustificazione), venerdì 16 ha risposto agli applausi con inchini, ma senza alcun bis.

Più libero di dirigere in assenza di Pletnëv, Valcuha si lancia nella lettura dell' Eroica di Beethoven. L'inizio è scattante, asciutto, quasi toscaniniano; le dinamiche vengono dosate con sapienza, la velocità (Deo gratias) è quella alla quale siamo abituati, ma l'esposizione del primo movimento non viene ritornellata, forse per risparmiare tempo. Nel secondo movimento, invece, rileviamo un'accelerazione in contrasto con l'indicazione Adagio assai: è pur vero che la scrittura di Beethoven sceglie un tempo di 2/4 per questa Marcia Funebre, e il ritmo è dato da note dell'ordine delle semicrome puntate e biscrome, dunque non si può indugiare; ma l'indicazione Adagio assai è lì proprio per ricordare di non farsi prendere la mano, pena una non adeguata resa della gravitas che contraddistingue questo brano. Lo Scherzo è forse il brano diretto in modo più convenzionale, con l'esecuzione di tutti i ritornelli ed un tempo sempre vivace, in linea con l'andamento ritmico-melodico del brano. Il Finale, con quel tema caro a Beethoven, che ritroviamo anche nelle Creature di Prometeo Op. 43, del 1801, e nelle Variazioni per pianoforte Op. 35 (non a caso chiamate Variazioni Eroica e scritte nel 1802, l'anno d'inizio della composizione della Terza Sinfonia), che ricorda quello del Finale della Jupiter mozartiana, col suo procedere per valori lunghi, in forma di corale, ha restituito adeguatamente, nella lettura di Valcuha, il suo valore al pubblico, perdendo a tratti di mordente, ma in generale uscendone a testa alta; notevole in particolare il raccoglimento intimistico quasi da notturno, che inizia verso la fine, col tema intonato all'oboe (e che si intreccia fugacemente con reminiscenze della Marcia funebre , in un accenno di forma ciclica), poco prima dello slancio finale (tecnica prettamente beethoveniana che ritroveremo per esempio poco prima della conclusione della Nona), dove la ricapitolazione, che richiama l'inizio del movimento, ha saputo conferire alla coda il giusto brio che suggella nella luce più sfolgorante il terzo capolavoro sinfonico di Beethoven.

Christian Speranza

13/7/2014