Viviani Varietà
Il 22 novembre lo Stabile di Catania ha inaugurato la stagione 2013-2014 con Viviani Varietà, uno spettacolo a metà tra cabaret e avanspettacolo interpretato da Massimo Ranieri per la regia di Maurizio Scaparro. Il lavoro, come recitava l'esauriente sottotitolo, intendeva ricostruire le prove, le musiche e le poesie messe in prova appunto da Viviani sul piroscafo Duilio, nel viaggio da Napoli a Buenos Aires nel 1929.
Uno spettacolino vivace quanto basta, dominato da un Massimo Ranieri nei panni di Viviani: mattatore sì, ma un po' opaco e datato, e poi la voce non è certamente più quella che il grande pubblico dei cinquantenni ricorda. Senza particolare fascino le musiche, che punteggiavano canzoni e gags che il pubblico ha mostrato cortesemente di gradire. Un'orchestra dal vivo, formata da Ciro Cascino al pianoforte, da Luigi Sigillo al contrabbasso, da Donato Sensini ai fiati, da Aniello Palomba alla chitarra e da Mario Zinno alla batteria, ha conferito un certo fascino retrò all'insieme, così come le scene e i costumi di Lorenzo Cutuli.
Non un lavoro adatto ad un'inaugurazione, ma bisogna accontentarsi: del resto, sin da prima che si aprisse il sipario, non è mancata la lettura di un comunicato da parte dei dipendenti del teatro. Il contenuto è facile da immaginare: gente non pagata da molti mesi, che non sa più come andare avanti, e che è comunque è costretta a lavorare, in attesa che accada qualcosa. Un comunicato stringato e dignitoso, indice di una situazione disastrosa dilagante, situazione dinanzi alla quale il nostro governicchio continua a rimanere beato sulla luna, baloccandosi con la decadenza di Berlusconi, con i balletti delle cifre, con l'IMU che diventa Iuc, e spacciando tutta questa paccottiglia per provvedimenti economici. Agevole indovinare che la critica teatrale non può limitarsi in questi tempi a parlare solo di teatro, ma è doverosamente chiamata a levare la sua voce anche per ricordare il baratro nel quale stiamo andando a finire.
Dunque uno spettacolo per tempi di crisi, che rammenta fin troppo esplicitamente le vicende dell'immigrazione meridionale degli anni '20, ma dal testo tutto sommato debole, privo sia di particolare guizzi comici, sia di musiche di rilievo, il cui unico merito è stato quello di distendere per un po' il pubblico, evitando le secche e gli inutili sperimentalismi degli anni precedenti. Discreta la prova della compagnia, composta da Roberto Bani, Angela De Matteo, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Gaia Bassi, Rhuna Barduagni, Antonio Speranza e Martina Giordano, che ha interagito con Ranieri con buona professionalità, almeno nei limiti di una recitazione improntata ad uno stretto dialetto napoletano, non certo di facile comprensione, che non ha certo, nonostante i sottotitoli, contribuito a migliorare la fluidità, la fruibilità e la godibilità dello spettacolo.
Ancora una nota di cronaca in chiusura: lo spettacolo è stato dedicato a Piero Sammataro, deceduto il giorno prima, attore in forza allo Stabile di Catania per molti anni, del quale certamente il pubblico catanese ricorderà sia la grande professionalità che il tratto signorile e di alta classe nella recitazione.
Giuliana Cutore
30/11/2013
La foto del servizio è di Marco Borrelli.
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