RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Mozart senza Mozart

Dopo aver esplorato il Novecento sperimentale (16 e 17 febbraio 2023: Luigi Dallapiccola, Three Questions with Two Answers; 2 e 3 marzo: Alfred Schnittke, …Pianissimo…), dopo aver altresì presentato in prima esecuzione italiana due brani contemporanei (9 e 10 marzo: Minas Borboudakis, “Z” Metamorphosis, con l'autore in sala; 16 e 17 marzo: Lubica Cekovská, Turbulence Op.11), l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN) torna al Settecento con due concerti diretti da uno specialista del settore: Ottavio Dantone.

Fil rouge del primo dei due – 23 marzo, in replica il 24, di cui si riferisce – è la figura di Mozart, non tanto per le sue musiche, che infatti qui non vengono eseguite, quanto perché evocativa di una genialità di spicco, tale da essere paradigmatica. Se Jacques Offenbach veniva detto per esempio come il “Mozart dei boulevard”, Joseph Martin Kraus (1756-1792: coscritto del Salisburghese, gli sopravvisse di appena un anno) era noto come il “Mozart di Odenwald” o il “Mozart svedese”, non perché nato in Svezia (era di Magonza), ma perché nel 1778 si trasferì a Stoccolma alla corte di quel re Gustavo III la cui uccisione fu spunto per Le bal masqué di Daniel Auber e Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Di Kraus viene eseguita l'Ouverture da Olimpia VB 33 (1791), tratta dalle musiche di scena per la tragedia Olympie di Johan Enrik Kellgren. Tutta in minore, cupa e agitata, si fa ricordare per la sua appartenenza alla corrente Sturm und Drang di cui Kraus fu propugnatore.

Si continua con la piacevole e disimpegnata Sinfonia nº5 in mi maggiore Wk 4 di Andrea Luchesi (1741-1801), trascritta e revisionata da Agostino Granzotto. La struttura in tre movimenti veloce-lento-veloce, senza minuetto, e la condotta melodica, a carico soprattutto degli archi, con oboi e corni a fare da rinforzo, ne fanno un lavoro ancora acerbo, ma testimonia della lunga storia evolutiva del genere sinfonico; le musiche di Luchesi vennero tenute in considerazione dai Mozart, che lo incontrarono nella loro tappa veneziana del 1771, ma Luchesi è noto soprattutto per essere stato l'ultimo Kapellmeister dell'arcivescovo di Colonia, che a Bonn poteva contare, tra i suoi orchestrali, nella fila delle viole, un certo Ludwig van Beethoven, prima che spiccasse il volo per Vienna.

Terzo e ultimo brano prima dell'intervallo, il Concerto per violino e orchestra in sol maggiore Op.2 nº1 del più eclettico e originale tra gli autori in programma: Joseph de Boulogne, Chevalier de Saint-Georges, detto il “Mozart nero”. In realtà, più mulatto che nero: nato in un'isola della Guadalupa tra il 1739 e il 1749 da un proprietario terriero e una schiava africana, dal padre ereditò nome e titolo e, ricevuta la sua educazione a Parigi, si distinse nel campo della scherma e della musica, probabilmente allievo per il violino di Antonio Lolli. Il concerto in questione, del 1772-73, è un perfetto esempio di stile galante, esente da virtuosismi estremi e piegato a una graziosità non per forza leziosa.

Chiude la serata un brano di un amico ed estimatore di Mozart: la Sinfonia nº103 in mi bemolle maggiore Hob:I:103 di Franz Joseph Haydn, del 1795, caratterizzata dall'incipit affidato all'estro improvvisativo del timpanista, curiosità che le valse il soprannome di “rullo di timpani”.

Fa specie vedere il palcoscenico dell'auditorium Arturo Toscanini Torino semivuoto, con un ensemble ridotto in funzione dei brani in programma (fa male invece vedere l'auditorium semivuoto, anzi disertato, dal pubblico): probabilmente per concentrare il suono di un così esiguo numero di esecutori – ma, d'altro canto, filologicamente non ne servono altri –, vengono posti dei pannelli sagomati ai lati e dietro di loro, forse fonoriflettenti, che formano come delle quinte teatrali. L'esecuzione procede quindi nel segno di una grande raffinatezza di suono, soprattutto grazie agli archi dell'orchestra, chiamati qui più che altrove a cimentarsi in pagine dedicate quasi esclusivamente a loro – si aggiungeranno trombe e timpani con Haydn, mentre corni e oboi, come si diceva, fanno da riempitivo nel corso della prima parte del concerto. Un nome, una garanzia, gli archi dell'OSN si riconfermano ancora una volta superbi per bellezza e coesione del suono.

Roberto Ranfaldi, uno dei due primi violini di spalla dell'Orchestra (si alterna durante la stagione con Alessandro Milani), è chiamato a ricoprire il ruolo di solista nel Concerto di Saint-Georges, dove si distingue per precisione degli attacchi e morbidezza di suono; il violino Evasio Guerra del 1923 abitualmente da lui utilizzato lascia il posto qui a un Gennaro Gagliano ex Chumachenco del 1761, più vicino all'epoca di composizione del Concerto.

Il tempo dell'intervallo, ed è possibile apprezzare la potenza di suono del rullato di Biagio Zoli, che apre la Sinfonia haydniana producendosi nel già ricordato assolo di timpani sulle uniche dei note a sua disposizione, tonica e dominante (quale novità deve essere stata per l'epoca una cadenza in apertura di sinfonia da parte di uno strumento che avrebbe faticato ad essere visto come espressivo per almeno altri ottant'anni!).

Apprezzamento particolare per Dantone, che dal podio guida l'orchestra all'insegna dell'equilibrio e del controllo, senza per questo rendere la sua lettura piatta o poco stimolante, e questo valga per l'intero programma, che tra l'altro offre la possibilità di far luce su autori meno conosciuti e meno frequentati. Si fa notare in special modo nella egregia condotta dell'Andante più tosto allegretto (secondo movimento della nº103), che, benché si attesti su un tempo piuttosto rapido e nervoso, non perde di espressività, e nel finale Allegro con spirit, scoppiettante di energia atta a chiudere degnamente la serata e tuttavia con un appiombo ancora tutto settecentesco.

Christian Speranza

5/4/2023

La foto del servizio è di PiùLuce Torino.