RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La Vedova allegra

al Teatro Filarmonico di Verona

Dopo la forzata pausa autunnale, la Fondazione Arena riprende l'attività al Teatro Filarmonico con l'operetta Die Lustige Witwe di Franz Lehar, nella versione italiana, titolo che chiude la stagione 2017, in attesa della vera inaugurazione 2018 che sarà a febbraio con Otello di Giuseppe Verdi. Lo spettacolo è quello celeberrimo di Gino Landi, autore anche delle coreografie, che fu presentato decenni addietro al Festival dell'Operetta a Triste, e già proposto a Verona in altre occasioni.

Allestimento classico, anche se ormai denota i suoi anni, lucente e ben realizzato nella fantasiosa Parigi d'inizio secolo XX. La regia di Landi trova un giusto equilibrio in una narrazione spigliata e scorrevolissima, sovente interpolata da gags gustose e mai eccessive e che si vede con piacere. Buono l'utilizzo del corpo di ballo, anche se in taluni momenti troppo presente senza senso appropriato. A mio avviso l'unico momento mancato è l'entrata di Hanna Glawari, la quale avendo a disposizione una grande scala non fa una sortita da vera primadonna, creando fascino e meraviglia. Molto belle le scene di Ivan Stefanutti che s'ispira all'austero elegante per l'ambasciata nel primo atto, con cambi scena efficaci attraverso pannelli scorrevoli, che non fermano l'azione. Meno felice la festa in giardino nella casa della protagonista, dove il folklore, un po' troppo paesano, la fa da padrone. Il terzo atto che dovrebbe essere il più folgorante poiché ambientato nel celebre locale della Belle Époque Chez Maxim è leggermente ridimensionato e poco fantasioso, con tutto il coro collocato in fondo per dare spazio al balletto, si poteva pensare una soluzione più efficace. Molto belli i costumi di William Orlandi, che impone uno stile elegante nelle divise e nei brillanti costumi femminili, e molto colore per “les grisettes”, come da copione. Le luci sarebbero dovute essere più calibrate secondo l'azione drammaturgica, invece erano spesso in posizione unica.

Il primo soggetto che dovrebbe essere preso in considerazione per allestire un'operetta classica come La Vedova Allegra dovrebbe essere il direttore d'orchestra, il quale deve avere un chiaro e preciso stile, che oltre alla professionalità dovrebbe contribuire al brio, alla brillantezza delle pagine meravigliose di Lehar e mantenere una costante nella concertazione composta di grandi colori e dinamiche peculiari. L'operetta è un mondo di fantasia, di sogno, di evasione. Tutte queste caratteristiche non erano presenti in Sergio Alapont, il quale segue un ritmo lento, sonorità pesanti, e poca attenzione alle voci con il risultato di un rilevante sfasamento tra buca e palcoscenico. Il maestro spagnolo ha anche una buona preparazione ma alla fine pare che questo repertorio non sia molto nelle sue corde, poiché sia la concertazione sia l'insieme sono stati nel complesso noioso. L'orchestra dell'Arena di Verona era molto precisa e preparata, ma piuttosto spenta per l'impostazione del direttore, sappiamo che avrebbe potuto essere molto differente e più rigorosa. Buona la prova del Coro diretto da Vito Lombardi.

Elsia Balbo era una Hanna Glawari molto educata musicalmente e riesce a interpretare un personaggio credibile e piacevole. La voce è molto contenuta, e qui il direttore avrebbe dovuto avere più accortezza, ma è molto bella e il canto lirico è ben sviluppato e d'effetto. Il ruolo probabilmente dovrebbe essere più rodato per fornire accenti più maliosi e ricercati, in future occasioni sicuramente il personaggio sarà più focalizzato, poiché il materiale c'è e la cantata è molto raffinata.

Enrico Maria Marabelli interpreta un Conte Danilo convincente, elegante, sornione, e dotato di una voce bella molto duttile e brillante nel canto. Molto bravo Francesco Marsiglia, Camille, che attraverso una voce morbida e pulita assicura un'interpretazione appassionata e molto musicale. Lucrezia Drei, Valencienne, è una brillante interprete, sicura e molto rifinita vocalmente, anche in questo caso il direttore avrebbe dovuto avere più accortezza per un volume non particolarmente robusto, ma di grande fascino e brillante nell'accento e nel fraseggio.

Strepitoso il Barone Zeta di Giovanni Romeo, che accomuna solida vocalità, pastosa e forbita, a una recitazione davvero ragguardevole e divertente, senza mai eccedere. Un personaggio riuscitissimo sotto tutti gli aspetti. Francesco Paolo Vultaggio era un intrigante e bravo Cascada, Stefano Consolini un brillante e perfetto St. Brioche, Andrea Cortese un Kromow divertentissimo e Nicola Ebau un Pritschitsch efficace. Ben assortite e divertenti le tre donne dell'ambasciata: Olga, Sylvaine e Praskovia, rispettivamente Lara Rotili, Serena Muscarello e Francesca Paola Geretto.

Come nell'edizione precedente il ruolo di Njegus era interpretato da Marisa Laurito. L'attrice napoletana ha sfoderato tutto il suo brillante talento in una spassosa interpretazione, sia scenica sia cabarettistica, arrivando nel terzo atto anche a realizzare una spaccata! Tuttavia al personaggio è stata fornita troppa importanza con macchiette superflue, al limite dello scurrile o troppo scontate e poco divertenti, e un assolo nel III atto del tutto superfluo. Peccato che la signora Laurito abbia esagerato, perché il talento era divertente e di classe anche senza aggiunte. Il pubblico però ha apprezzato moltissimo.

Molto bravo il Corpo di Ballo assemblato per l'occasione, il quale si è esibito anche in un'aggiunta, Gaité Parisienne di Offenbach, che esce dai confini di Lehar, ma tutto sommato ci può stare. Al termine applausi fragorosi che hanno determinato un successo pieno all'esecuzione.

Lukas Franceschini

31/12/2017

Le foto del servizio sono di Ennevi-Fondazione Arena di Verona.