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Mario dal Bello racconta Verdi

Nella pletora di pubblicazioni legate all'anno verdiano appena concluso, una si distingue per la spontaneità dell'accento, per la passione sincera con la quale viene narrata la vicenda umana del compositore di Busseto. Si tratta del libro di Mario Dal Bello, scrittore e giornalista, critico musicale, d'arte e di cinema, dal titolo Verdi. Il teatro del dolore (Solfanelli editore, 136 pg., € 12,00).

Nell'accostarsi ad un argomento profondamente amato, l'autore sfugge le pastoie di una bibliografia sterminata individuando una chiave di lettura peculiare. Il dolore appunto, sorta di basso continuo che percorre l'intera produzione del compositore. Siamo di fronte ad una pubblicazione snella, lontana da eccessive complicazioni musicologiche, dal carattere divulgativo nel senso migliore del termine, nella quale l'autore indaga per intero la vicenda creativa di Verdi, fornendo nel contempo coordinate biografiche essenziali ad uso del lettore meno smaliziato. Le opere sono commentate una ad una, con uno stile diretto e comprensibile anche per i non addetti ai lavori. Ne risulta l'immagine di un Verdi compositore sanguigno, impareggiabile indagatore dell'animo umano. Il dolore lo segue costantemente, eppure accanto al pessimismo e alla fatalità oscura, apparentemente prive di una qualsiasi risposta, si trova il tema della pietas, della comprensione misericordiosa verso un'umanità afflitta. Dai vortici del dramma emerge dunque l'amore, e non è un caso che la sua vicenda terrena si chiuda con la spiritualità dei Quattro pezzi sacri e del Te Deum, quest'ultimo in particolare colmo di un intimismo che appare speranzoso. La questione della spiritualità di Verdi è stata a lungo dibattuta. Dal Bello individua una chiave di lettura personale, vede nella sua opera un poema del dolore che “tende fatalmente verso una luce, cercata e desiderata come non mai”.

Riccardo Cenci

8/4/2014