Incubi e sogni del Signor Vattelapesca
Sergio Vespertino
Parliamo di noi, specialmente di me... È quasi un'invocazione, testarda e profusa di malinconia.
È un girotondo forsennato per illusionàrisi lu cori, diremmo in antico vernacolo.
È un invito all'eterno gioco di viversi addosso, tutti, perché tutti stracolmi di tenerezza triste e di dolente energia.
È Sergio Vespertino, 50 anni e cocci e non sentirli (né vederli), mattatore e “mattattore” arguto e sensibilissimo, autore certosino ed interprete viscerale seppure rigoroso del suo “Signor Vattelappesca”, un everyman di chiara, sonorissima, esilarante matrice palermitana che da everyman che si rispetti sembra portare, a turno, il nome e cognome di tutti noi, in platea, al Teatro Verga di Catania. Giacché Il signor Vattelappesca è stata la felicissima apertura della XXI rassegna “Comics”, ideata e diretta da Marco Vinci, da tre anni in tandem con il Teatro Stabile di Catania (della cui stagione è parte integrante) che, per l'inaugurazione, gli ha aperto i battenti della sala ammiraglia di via Giuseppe Fava.
E non era solo, Vespertino, seppure d'innegabile, osannato one man show si trattava. Infatti, al suo fianco - alle sue spalle e soprattutto nella sua mente che è impregnata, in parti eguali, di ritmi scenici e ritmi musicali – c'era il maestro Pierpaolo Petta, volto da bambino ma vecchio musicus per sapienza tecnica e finezza interpretativa . Fisarmonicista in primis ma musicista “ecumenico” (più avanti imbraccerà anche la chitarra ma non è questo il punto) Petta è compositore di nuove drammaturgie musicali ma anche ri-compositore di melodie blasonate e celeberrime (dal tango al Morricone di Nuovo Cinema Paradiso) e risulta un ideale compagno di scena perché degli “psico-ritmi” di Vespertino, poeta sfrenato e tragicomico del presente, il musicista riesce ad essere rabdomante e portavoce al tempo stesso.
Già fondatore, nel 1990, dei Treeunquarto di cui è stato anima e corpo per un decennio, Sergio Vespertino è uno e tutto intero dal 2000, e tutta intera è cresciuta la sua identità d'attore, tra un Buttitta d'annata ed un'Eredità dello zio canonico passando per La cattura, ultimo spettacolo di Turi Ferro allo Stabile, frequentando poi altri navigati teatranti quali Riccardo Garrone, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Anna Malvica.
E tutta intera è aumentata (dal 2005 ad oggi, s'intesta la scrittura di almeno dieci produzioni) anche la sua credibilità e personalità di concertatore d'umorismo e di satira (in)consapevolmente poetica.
In scena, un mucchio di sedie ma non è Ionesco né Cafè Muller di Pina Bausch, piuttosto un'architettura legnosa e laocoontica pronta a regalargli “figli” da immolare sull'altare scenico.
All'inizio, infatti, sono posti vuoti che Vattelappesca dispone in fila come nella recita del Rosario di De Roberto, pronte per l'agognata, rituale Susuta d'o suli, uno spettacolo che tanti, troppi ancora disertano e che pure potrebbe far concorrenza leale alla televisione: poesia in più e un canone in meno.
E mentre prende ad issare quella palla di fuoco che sembra più un lampione che ha appena smesso l'abito da sera, ci pensa ancora lui, Sergio…Vattelappesca, a intercalare la polifonia di versi e versacci degli uccelli notturni (che neanche Totò e Peppino quando, travestiti da banditi, aspettano la spilorcia Titina munita dei soldi del riscatto) con il grido della “primadonna” delle prime luci: il gallo, mattiniero malgré lui.
Già, uccellacci e uccellini.
Sono sempre loro – incubi e sogni – ad animare il cuore e la mente del Signor Vattelappesca anche se, di passaggio, ci sta bene una mamma manìaca delle pulizie di tutte le stagioni che trovava il tempo per annigghiare la casa di centrini all'uncinetto, onnipresenti, copiosissimi come i ceci nella fiaba di Giufà. E ci stanno i poveri merluzzi che oggi si (vattelap)pescano già ugghiùti per via del surriscaldamento del pianeta e ci stanno pure gli odiosi convegni in cui dopo 5 minuti si registra il crollo dell'attenzione mentre un altro crollo, quello della dignità, è pronto in agguato al prossimo viaggio in pullman quando l'autista non ha ancora imboccato l'autostrada che tu già dormi con il capo reclinato indietro e la bocca immancabilmente, pericolosamente, vergognosamente aperta.
Ma intanto loro – uccelli più beneauguranti e meno carnivori di quelli di Hitchcock – continuano a volare. Fenicotteri? Pettirossi? Gabbiani, pellicani? Corvi? Poco importa, pensa Vattelappesca, ciò che conta è avere le ali. Da Leonardo in avanti e indietro, non v'è stato genio o imbecille che non le abbia sognate.
Perciò di quelle sedie, presenza mistica sul palcoscenico, Vespertino fa quasi una Messa cantata.
Di più. Le dispone in modo tale da costruirvi delle ali e - in nevrosi continua, continui siparietti e continui tableau vivant – non resiste alla tentazione di allargare le braccia a mo' di rondine (e di Rose in Titanic e là scatta lo sfottò del maestro Petta che, imboccato il flauto di Pan, intona, beffardo, Life must go on ma senza Celine Dion).
E tra un volo e l'altro, Vattelappesca “plana” sulla questione del Ponte sullo Stretto (con Ficarra e Picone potrebbero, sì, costituire un trio di filosofiche amarostiche risate a crepapelle) e sulla storia dell'amore impossibile per Simonetta...
Stranito e straniato, persino liricamente cinico, l'uomo che voleva essere un uccello non potrebbe volare più vicino alla platea, sbattendo le ali su croci e delizie di tutti i Vattelappesca che “tra libertà e fantasia trovarono un pertusicchio per scapparisinni via”.
Magari.
Perché mentre la palla di fuoco già lampione notturno compie per l'ennesima volta il suo ennesimo viaggio di ritorno, quello esattamente contrario alla Susuta d'o suli , questa volta sono in due, Vattelappesca e Vespertino, a darti il colpo di grazia.
Con buona pace di Modugno e di Chagall, più che volare, il vero miracolo è camminare sulla terra.
Carmelita Celi
18/11/2013
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