RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Strauss e Gounod alla Staatsoper

Naturalmente non poteva mancare in una visita a Vienna uno Strauss e, sorpresa, anziché un'opera italiana, questa volta una francese, amatissima qui e giustamente, Roméo et Juliette di Gounod.

Capriccio, in una produzione di nuovo rielaborata per quest'occasione per la regia di Marco Arturo Marelli (responsabile anche delle luci e delle scene), molto azzeccata anche nel suo passare dall'epoca in cui si finge l'azione al mondo moderno (macchine da scrivere, vestiti di alcuni dei personaggi), risultava molto brillante e riusciva anche il tono intimo e di una certa malinconia grazie a delle scene che si muovevano in continuazione permettendo diversi punti di vista del palazzo e anche dei diversi personaggi.

Una sola volta a parte questa ho visto appeso al botteghino il ‘tutto esaurito' con pubblico potenziale che cercava un posto: nell'ormai famoso spettacolo parigino che chiudeva l'epoca Gall. In entrambe le occasioni protagonista applauditissima era la più completa contessa Madeleine dell'attualità, Renée Fleming, semplicemente perfetta come cantante e attrice: mai civetta ma maliarda, ironica, sentimentale (un vero ‘tour de force' quel pudico e nello stesso tempo struggente monologo finale davanti allo specchio). Al suo livello la magnifica concertazione di Christoph Eschenbach, che si presentava come direttore di opera e otteneva un lavoro di oreficeria meraviglioso dall'orchestra. Il resto del cast, sempre adeguato, non era ugualmente memorabile, sia per l'usura dei mezzi (Kurt Rydl conosce bene La Roche, ma non è più in grado di sostenere gli acuti), sia perchè si tratta di cantanti corretti e interpreti brillanti ma non al punto da lasciare la propria impronta (Bo Skovhus era il Conte e forse il migliore in campo dopo la Fleming, Angelika Kirschlager una Clairon bellissima ma con non troppa voce, Michael Schade Flammand di voce oggi poco flessibile ma grande artista, e Markus Eiche – il meno interessante di tutti – il poeta Olivier). Della coppia di cantanti italiani se ne usciva meglio il tenore Benjamin Bruns che la più nota Iride Martínez, di voce piccola e opaca.

Per quanto concerne l'opera di Gounod, si partiva male già dalla ripresa della produzione di Jürgen Flimm che è molto invecchiata e oggi risulta appena ridicola: se il primo atto si svolge in discoteca e il personaggio di Giulietta si comporta di conseguenza (e anche gli altri, primo fra tutti Mercuzio) tutto cade. Che il paggio Stefano arrivi per cantare in bicicletta (e puntualmente buca e si mette a trafficare con la povera ruota) è poco più di una stupidaggine. Placido Domingo non passerà alla storia della lirica come maestro, ma a parte un preludio più che wagneriano per le sonorità e dei tempi poco adeguati (il valzer famoso, il racconto della Regina Mab, la scena di Frère Laurent preparando il veleno) si destreggiava correttamente e l'orchestra seguiva. Manco a dire gli applausi erano scroscianti e pure qui non sarà stata indifferente la sua presenza al ‘tutto esaurito'. Ma di straordinario, di veramente superiore c'era Piotr Beczala, un Romeo per il ricordo grazie alla bellezza della voce, lo stile, la tecnica, l'articolazione del testo e il giusto impeto scenico. Vicina è arrivata la Juliette di Sonya Yoncheva, ma il suo canto era troppo forte e i contrasti tra gravi e acuti troppo esagerati per un personaggio deciso sì ma delicato; forse anche la direzione scenica aveva qualche responsabilità ma il soprano è giovane e fa sperar bene. Il coro non si sentiva sempre al suo livello abituale (molto strano perchè il maestro è sempre l'ottimo Thomas Lang), ma il livello degli altri interpreti era sotto i livelli di guardia, se si fa eccezione del vivace Stephano (un po' rigido in zona acuta) di Juliette Mars.

Jorge Binaghi

7/7/2013