I mille volti della musica popolare

Costruire un programma da concerto incentrandolo sulla musica popolare in senso lato è senz'altro un compito abbastanza arduo, perché il termine popolare ha varie accezioni, che vanno dalla valenza tipicamente culturale di una musica elaborata e tramandata da un popolo, a quella di una musica rivolta a un pubblico molto più vasto di quello che frequenta abitualmente le sale da concerto, per allargarsi infine a un significato eminentemente sociale e sociologico, nel senso di brani o rivolti a un pubblico ben identificato per istruirlo ed educarlo alla musica, o nel senso che rispecchia un diffuso sentimento radicato negli uomini in un determinato periodo della storia. In quest'ottica, il programma elaborato da Giovanni Sollima per il concerto che si è tenuto il 16 maggio al Bellini di Catania (con replica il 17), dall'eloquente titolo Giovanni Sollima e la musica popolare, offre a ben vedere una carrellata di tutte queste accezioni del termine, a partire dalla figura di Giufà, crocevia tra la cultura araba e quella popolare siciliana, figura di sciocco con venature di malignità protagonista di tanti cunti, antieroe protagonista del brano di apertura, Giufà Suite di Eliodoro Sollima, passando per Fecit Neap. 17, concerto per violoncello e orchestra composto dallo stesso Giovanni Sollima, partitura dove influenze orientali si mischiano a reminiscenze barocche e a tecniche più moderne e sperimentali, e in cui l'istintiva e trascinante forza comunicativa di Sollima piega il violoncello a sonorità taglienti e inusuali, in uno con una mimica in grado di avvincere l'uditorio al di là e oltre la compostezza ieratica e talvolta raggelante di certi interpreti, concludendo infine il primo tempo con il brano tradizionale albanese Moj e bukura more, dove la popolarità della musica s'incentra sul tema della migrazione dei popoli, della lontananza dalla propria terra natia, della nostalgia dell'esule, sentimento in grado di legare indissolubilmente tutti gli uomini.
E sul tema dell'emigrazione, almeno su quella dei primi del Novecento, si apriva la seconda parte, con La canzone dell'emigrante tratta dalla Suite siciliana di Gino Marinuzzi, brano intriso di profonda malinconia, col quale contrastava crudamente il pezzo successivo, che illustrava un'altra accezione di popolare, quello riservato alla musica leggera, e al contempo un'altra accezione di migrazione, quella aggressiva, bellicosa e certo sanguinaria dei Vichinghi: Immigrant Song, dei Led Zeppelin, in uno stupendo arrangiamento di Sollima, che prevedeva anche l'uso di strumenti siciliani come il marranzano suonato da Puccio Castrogiovanni, il friscaletto di Salvatore Tomasello e il tamburo a cornice (in pratica il tamburello) di Armando Vacca. Chiudeva infine la rassegna Pierino e il lupo di Sergei Prokof'ev, fiaba commissionata proprio dal governo sovietico al compositore, che aveva il compito specifico di creare una partitura in grado di educare e avvicinare alla musica i giovani in maniera leggera e quasi inavvertita: come si vede anche qui di musica popolare si tratta, nel senso più propriamente didattico-pedagogico di rendere appunto popolare la musica fra più strati possibili della popolazione. E anche in questo brano l'estro di Giovanni Sollima ha realizzato un pastiche di grande impatto, affidandosi al testo rielaborato in siciliano da Giovanni Calcagno, attore di notevole caratura che ha reso con una mimica eccellente il testo riscritto in un vernacolo in cui era possibile ravvisare, come già nella Giufà Suite che si apriva con una traduzione dialettale dei primi versi del Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Giacomo Leopardi, ascendenze dialettali arcaiche, particolarità foniche e locuzioni tipiche della Sicilia occidentale, testo a cui erano stati aggiunti tre personaggi di contorno, un secondo passero (friscaletto), un moscone (marranzano) e un cacciatore un po' brillo (tamburo a cornice), quasi a rinsaldare una sicilianità della quale si desiderava ad ogni costo permeare la partitura russa.

Programma dunque idealmente omogeneo pur nella sua apparente disomogeneità, che la verve istrionica di Giovanni Sollima, nella doppia veste di solista e direttore d'orchestra, ha contribuito non poco a rendere quanto mai coinvolgente sin dall'inizio con la Giufà Suite, arricchita dalla suggestiva video composizione di Alessandra Pescetta, tesa a illustrare la celebre avventura di Giufà con la luna nel pozzo, video dal quale emergeva una Sicilia notturna, quasi panica nell'animarsi della vegetazione lacustre sotto i riflessi della luna, col nascere dal limo della maschera di Giufà che si sarebbe poi concretizzata sotto forma della marionetta corporea creata da Bianca Bonaconza, e materializzatasi tra le braccia di Giovanni Calcagno sul finire della Suite.
Concerto estremamente coinvolgente e graditissimo al pubblico, che ha tributato a Sollima e all'orchestra del Bellini, in ottima forma, una vera e propria ovazione, alla quale il grande violoncellista ha risposto riproponendo il brano dei Led Zeppelin e un frammento di una tarantella siciliana.
Giuliana Cutore
17/5/2025
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.