La Bohème di Leoncavallo
per la prima volta a Catania
Il feuilleton a episodi di Henry Murger, Scènes de la vie de bohème, apparve a puntate sulla rivista "Le Corsair Satan" fra il 1845 e il 1849 ma il consenso di pubblico ottenuto indusse lo stesso autore a ridurre l'opera narrativa per la scena teatrale con l'aiuto dell'attore e drammaturgo Théodore Barrière e in tale forma venne rappresentata per la prima volta il 22 novembre 1849 a Parigi. Il risultato conseguito fu lusinghiero al punto che dopo si arrivarono a registrare ben quattro successive edizioni integrali del testo (1851, 1859, 1877 e 1879), testo che venne poi tradotto in Italia nel 1872 a cura dell'editore Sonzogno, con la traduzione e la prefazione di Felice Cameroni. L'intera narrazione aveva come sfondo e dipingeva di fatto un costume di vita che era stato d'attualità anche in Italia ed era stato espresso emblematicamente dall'ambiente della Scapigliatura milanese. Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo, nel dare vita alle relative opere in musica, che poi portarono lo stesso titolo de La Bohème, si ispirarono entrambi alla creazione di Murger, ma proprio a causa di tale scelta litigarono in modo talmente furioso che non riuscirono a riconciliarsi mai più per il resto della loro vita. Pare infatti che Puccini, tornando da Torino, dove aveva fatto rappresentare Manon Lescaut, avesse incontrato Leoncavallo in un caffè di Milano manifestandogli l'intenzione di musicare una nuova opera dal titolo Bohème appunto e ispirata al romanzo dello scrittore francese. Leoncavallo si inalberò non poco ricordando al collega che proprio lui gli aveva già parlato di tale soggetto l'anno precedente e che gli aveva anche rivelato che avrebbe voluto metterlo in musica, pertanto il lucchese gli aveva rubato l'idea.
Tale contesa diventò sempre più aspra al punto da finire in aperta e pubblica polemica sui giornali nazionali. Alla fine Puccini sintetizzò così il suo pensiero in una lettera pubblicata sul "Corriere della Sera": “…Egli musichi, io musicherò. La precedenza in arte non implica che si debba interpretare il medesimo soggetto con uguali intendimenti artistici”. Alla fine la diatriba si spense e in seguito La Bohème di Leoncavallo andò in scena al teatro La Fenice di Venezia il 6 maggio del 1897, quindici mesi dopo la prima esecuzione de La Bohème di Puccini, e sebbene il successo fosse abbastanza buono, l'autore ne ripresentò un rifacimento al Teatro Massimo di Palermo il 14 aprile del 1913 con il titolo Mimì Pinson, opera che a dire il vero non resse il confronto con quella del rivale toscano che ancor oggi incontra il gusto del pubblico al punto da primeggiare nei cartelloni di tutto il mondo.
Operazione culturale significativa e altamente meritoria è stata, in questa particolare occasione, quella del Teatro Bellini di Catania, per avere inserito La Bohème di Ruggero Leoncavallo, anche se presentata in semplice forma di concerto, nella programmazione del cartellone della Stagione Sinfonica e per giunta a distanza di qualche settimana da quella pucciniana che ha invece inaugurato la Stagione Lirica e di Balletti. Il confronto fra le due opere non è avvenuto sicuramente alla pari, dato che la partitura di Leoncavallo è stata presentata in forma concertante e pertanto in assenza di scene, costumi e movimenti drammaturgici, tuttavia ha reso sicuramente tangibile e palpabile il diverso modo di concepire, comporre, strumentare, illustrare lo stesso soggetto da parte di due musicisti contemporanei ma dal temperamento e dall'emotività assai diversi e lontani l'uno dall'altro.
Così domenica 11 e martedì 13 dicembre le note della Bohème di Ruggero Leoncavallo si sono librate per la prima volta all'interno del teatro Bellini di Catania (l'opera infatti non era mai stata eseguita prima nella nostra città) registrando un'accoglienza da parte del pubblico quanto mai cordiale e calorosa, che ha trovato conferma negli applausi a scena aperta tributati a tutti gli esecutori.
L'opera è stata introdotta dalla giornalista Caterina Rita Andò e dal critico musicale Giuseppe Montemagno che con dovizia di particolari storici e cronachistici hanno descritto fonti letterarie, trama e il background culturale all'interno del quale l'opera venne concepita, realizzata e rappresentata. L'orchestra del nostro teatro, sicuramente in buona forma, è stata diretta con piglio vivace ed esuberante ma sempre composto e attento ai particolari agogici e dinamici della partitura da Fabrizio Maria Carminati (attuale sagace direttore artistico del nostro teatro) di fatto ideatore e promotore di questa significativa e stimolante operazione culturale che mette a confronto le due Bohème.
Da tale confronto, a nostro avviso, il maestro toscano esce vittorioso per varie ragioni. In primo luogo perché il libretto di Illica e Giacosa che egli ebbe a disposizione era sicuramente molto più fluido e scorrevole dialogicamente nonché molto più efficace e incisivo drammaturgicamente di quello che Leoncavallo aveva scritto per se stesso (non va dimenticato che egli era laureato in lettere ed era stato alunno all'università di Giosuè Carducci). In secondo luogo la musica di Puccini evidenzia sia dal punto di vista orchestrale che di innovazioni armoniche, che di tavolozza timbrica delle sonorità, un'originalità ed un'espressività affettiva ed intimistica che si trasfonde e fissa nei personaggi, riuscendo a bucare, per dirla in gergo teatrale, inesorabilmente l'uditorio. D'altronde queste prerogative vincenti del titolo pucciniano vengono confermate dal fatto che dopo circa centotrenta anni dalla sua prima esecuzione, avvenuta nel 1896, l'opera domina incontrastata ancor oggi nelle programmazioni operistiche di tutto il globo terracqueo.
Il soprano Selene Zanetti (Mimì) ha comunicato appieno la vocalità del suo personaggio, mostrando delle buone doti espressive ed una tecnica efficace, unite ad un uso attento e controllato dei filati e delle mezze voci. Il tenore Gaston Rivero (Marcello) ha messo in campo uno squillo aperto, luminoso e ampio, sempre circospetto e accorto nell'emissione degli acuti. Il mezzosoprano Elena Belfiore trasfondeva energia e garbo alla vocalità vivace e sbarazzina di Musette. Il baritono Domenico Balzani (Schaunard) si esprimeva con una voce lunga, rifinita e dalla timbratura piena e incisiva. Il baritono Luca Bruno (Rodolfo) riusciva a cogliere attraverso la sua vocalità fluida e sciolta il temperamento appassionato del romantico poeta della trama, mentre il baritono Roberto Lorenzi è stato un esemplare Colline. Altrettanto efficaci e significative si sono anche rivelate le interpretazioni di Saverio Pugliese (Gaudenzio, Durand), Gianni Luca Giuga (Barbemouche), Paolo Ciavarelli (Visconte Paolo), Blagpj Nacoski (un becero, un signore), e Monica Minarelli (Eufemia). Il coro preparato con cura da Luigi Petrozziello ha contribuito non poco alla riuscita dell'intero spettacolo.
Giovanni Pasqualino 14/12/2022
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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