Barcellona
Volante ma non troppo
Solo titolo di Wagner della presente stagione del Liceu, L'Olandese volante non è che abbia avuto un viaggio particolarmente felice né tranquillo, e si vede che è proprio voler del fato. Ci sono stati problemi non meglio identificati con alcuni membri della compagnia e quelli finalmente arrivati in porto – proseguiamo con le metafore marine, ossia Elena Popovskaya (Senta) e Daniel Kirch (Erik), risultavano apprezzabili sì ma il soprano con una gestione problematica delle sue enormi risorse – la voce non gira facilmente, per cui il canto è alternativamente calante o privo di controllo – e il tenore con un canto, e soprattutto una linea-inesistente, inadatto a un personaggio che mal tollera note gridate. Attila Jun, dal canto suo, si calava nei panni di Daland con un canto e un'interpretazione ancora più rozza dei soliti, certo con voce enorme ma tutto il tempo forte. Così, dai quattro principali, il solo ad avvicinarsi all'ideale era Albert Dohmen, l'Olandese, benchè l'acuto suoni stanco e di emissione poco pulita e il cantante abbia bisogno di tutta la sua lunga esperienza e capacità per venire a capo dei momenti oggi difficili da risolvere. Corretta la Mary di Itxaro Mentxaka e molto buono il nocchiere di Mikeldi Atxalandabaso.
L'allestimento di Philipp Stölzl, di casa a Berlino ma nato a Basilea, è di forte impatto per la vista ma non tanto per quanto riguarda l'aspetto drammatico. Che tutto venga visto da una mente esaltata e malaticcia, quella di Senta, non è certo nuovo. È suggestivo che il quadro che troneggia nel salotto borghese ottocentesco dove si svolge tutta l'azione prenda vita e movimento, ed è molto cinematografico: ma il meglio si riduce a questo, luci eccellenti, e scene e costumi molto belli. I doppi dei protagonisti non sconcertano certo ma ingombrano la scena e finiscono per dare fastidio. Peggio ancora, sono ingiustificabili le modifiche assolutamente non pertinenti del testo (le donne filano, non spazzano e spolverano, anche se i sopratitoli cercano di addolcire l'incoerenza), ma anche le voci dell'equipaggio fantasma non devono e non possono essere più 'deboli' di quelle dei marinai 'umani', e l'effetto 'diabolico' o 'soprannaturale' – se era questo che si cercava – non esiste. Alcuni momenti dell'atto terzo, poi – ovviamente l'opera si dava senza intervalli, tutta d'un fiato – risultavano parecchio ridicoli, come Erik che canta la sua cavatina su un tavolo sotto il quale si nascondeva Senta, che usciva solo per rompere la testa all'ex fidanzato con una bottiglia, e in continuazione prendeva un vetro rotto per aprirsi le vene ed uccidersi mentre Olandese e 'Senta 2' se ne vanno per i fatti loro, con tutta la simbologia che si voglia addurre, ma che non funziona.
Bene il coro, istruito da Conxita García e bene anche l'orchestra, non sempre infallibile, diretta da Oksana Lyniv, che sottolineava con enfasi la veemenza e quindi prediligeva far suonare – eccome – percussioni ed ottoni scombussolando così l'equilibrio in buca e in qualche momento anche con il palcoscenico. Applausi non troppo infuocati alla fine.
Jorge Binaghi
15/5/2017
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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