Wagner alla Staatsoper
Il ritmo della Staatsoper in piena stagione è allucinante: titoli che si ripetono periodicamente in 3-4 recite con diverse compagnie e per un totale di almeno cinque serate di opera (le altre sono di balletto in termini generali) la settimana. Così, in una visita di cinque giorni ho visto quattro opere, due di Wagner (tradizione e anniversario obbligano). Nel caso concreto si trattava, cronologicamente, di una ripresa della recente (se si pensa che il Teatro – e fa benissimo – riprende allestimenti vecchi, belli o brutti, ma che non costano o servono ad ammortizzare i costi) messinscena de La valchiria (se vi piace di più, Die Walküre) di Sven-Eric Bechtolf e la nuova produzione di Tristano e Isotta (ovvero Tristan und Isolde – un po' di tedesco fa sempre la sua bella impressione) per la regia di David McVicar. Prendiamo quest'ultima: è sicuramente minimalista e forse e meglio essenziale (possono non piacere le scene dell'atto secondo, che rassomigliano piuttosto a una torre di tivú dell'epoca dei Celti), ma sempre di una grande intensità drammatica che con questo titolo non è cosa da poco: molto interessanti. Quella di Bechtolf si serve (poco e non sempre nel migliore dei modi) di video e senza innovare poi tanto porta l'azione in uno spazio e tempo indefiniti, ma i cantanti (tranne un paio che ci pensano loro) sembrano un po' abbandonati alle proprie (scarse o meno) forze.
L'orchestra del Teatro è sempre un sicuro punto di riferimento, ma anch'essa dipende dal maestro che le capita (le prove sono abbondanti per le nuove produzioni, non tanto per le altre). In Wagner in particolare è solito sentire un suono splendido. E difatti Peter Schneider sale abitualmente sul podio, sempre sicuro anche se magari non proprio geniale, e questa giornata del Ring se ne giovava. Wälser-Möst sarà più giovane ed è anche direttore musicale della casa ma per la maggior parte del tempo riesce solo a creare dei continui suoni orgiastici (direi piuttosto banalmente rumorosi). Un italiano vicino commentava filosoficamente – dopo che in fin di serata un gruppo aveva contestatol maestro – “un altro con la clava” e, dispiace dirlo, non aveva torto. Indimenticabile Isotta, Nina Stemme conferma ancora una volta le sue grandissime qualità vocali e artistiche che brillano soprattutto ma non solo in Wagner. Peter Seiffert, un po'stanco verso la fine (e chi avrebbe superato il muro dell'orchestra meglio di lui in quel terribile momento dell'atto terzo?), da canto suo, era un magnifico Tristano. Stephan Milling ci offriva un commovente re Marke (malgrado il suo costume); gli altri erano corretti risultando forse il più interessante (ma non troppo) di tutti il Kurwenal di Jochen Schmeckenbecher.
Nell'opera più popolare del Ring, Anja Kampe trionfava nei panni di Sieglinde con un approccio magari troppo concitato e senza grandi sfumature, ma questa volta almeno il canto non ne soffriva. Johan Botha non sarà un cantante dal fraseggio poetico ma il suo Siegmund era di bel timbro e soprattutto di un'insolenza e sicurezza vocale ammirevoli. Ain Anger presentava un Hunding ideale per voce e figura, e lo stesso vale per l'altra ‘cattiva' (benché dea) dell'opera, Mihoko Fujimura, una Fricka ieratica ed odiosa come si deve. Katarina Dalayman, come già osservato nella sua Brunilda parigina, dimostrava di avere un punto debole (l'acuto non sempre controllato) ma anche, in compenso, un volume notevole, colore adeguatamente scuro, buona dizione e intenzione nel dire, mentre le valchirie sorelle non sempre erano ineccepibili. Thomasz Konieczny (come la Kampe una sostituzione – e dove li andate a trovare dei sostituti di questo genere?) cantava un Wotan appassionato (magari troppo, o troppo giovine ancora), di bella presenza, ma con un registro grave che non sempre era all'altezza della situazione.
Jorge Binaghi
7/7/2013
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