RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Parigi

Protagonista di riferimento

Una magnifica ripresa del bellissimo allestimento per la regìa di Benôit Jacquot (Londra, Covent Garden, 2004), non una piega nei rielaborati costumi e le meravigliose luci con delle scene semplici ma perfette di quel capolavoro che è il Werther di Massenet offriva la Bastille a un pubblico festante. Con in più un'interessante sorpresa: la presentazione prima del tempo (doveva accadere poche settimane dopo con il Barbiere rossiniano) del giovane maestro Giacomo Sagripanti, che doveva mettersi al lavoro di corsa per i problema di salute (speriamo non gravi malgrado l'età) del grande Michel Plasson. Tranne qualche momento un po' troppo forte, è facile che capiti con questa partitura, tutto era sotto perfetto controllo dal punto di vista del rapporto con l'orchestra, i professori sembravano contenti, e con il palcoscenico. Per fortuna, c'erano anche almeno i due intervalli necessari per i momenti contrastanti saggiamente calcolati da Massenet e librettisti.

La compagnia di canto non aveva un solo punto debole, dai simpatici beoni ben cantati ed interpretati da Rodolphe Briand (tenore caratterista) e Lionel Lhotte (baritono), passando per il più che corretto ‘Bailli' di Paul Gay, fino ai notevoli Albert di Stéphane Degout (degno di ruoli meno ingrati di questo) e soprattutto della brava Sophie di Elena Tsallagova. I bambini del coro dell'Opéra e quelli della Maîtrise des Hauts-de-Seine erano anche arcibravi. Ma, si sa, quest'è un'opera per due grandi (ancora di più il tenore).

Elina Garança (Charlotte) è bellissima ed elegante, e molto distinta anche se il suo canto, molto più interessante che anni fa a Vienna, non è precisamente commovente e, trattandosi di un mezzosoprano, sorprende che la si senta meglio e più in zona acuta che nei registri centrale e grave; il francese non era male ma non sempre risultava facilmente comprensibile. Ma a fare questa serata unica, indimenticabile ci pensava quel maestro che ha per nome Piotr Beczala, che aveva assolutamente tutte le carte in regola, e forse qualcuna in più, per regalarci un protagonista di assoluto riferimento: interpretazione, articolazione del testo, timbro, estensione, grande stile e tecnica perfetta: non brillava solo nei grandi momenti individuali o nei duetti ma in ogni frase, anche la più ‘banale' della partitura, e penso al momento del dialogo con Albert nel secondo atto da lasciare sbalorditi.

Jorge Binaghi

8/2/2016

La foto del servizio è di Emilie Brouchon.