RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Die lustige Witwe

alla Fenice di Venezia

Per il carnevale 2018 il Teatro La Fenice ha allestito una nuova produzione di Die Lustige Witwe (La vedova allegra) di Franz Lehár, una delle più famose operette, in un nuovo spettacolo di Damiano Michieletto, molto atteso. Michieletto ovviamente realizza una vedova moderna, ci saremmo sorpresi eventualmente del contrario, sempre in collaborazione con i suoi fedeli compagni artistici, lo scenografo Paolo Fantin, in quest'occasione con mano meno felice e creativa, e la costumista Carla Teti, straordinaria artefice di costumi, soprattutto quelli femminili, bellissimi. La lettura del regista è volutamente incentrata sul denaro, tutto si gioca attorno ai soldi, e l'interesse per Hanna Glawari è solo perché è una ricca ereditiera le cui sostanze risolleverebbero le finanze del piccolo stato del Pontevedro. Di conseguenza il primo atto si svolge in una banca, nella quale il barbone Zeta, da originale ambasciatore, è declassato a direttore di filiale di provincia, tenta il tutto per far restare i milioni della vedova nelle casse dell'istituto di credito, facendo leva anche sul carisma di un impiegato, il Conte Danilo, che è probabilmente il più idoneo, per fascino e galanteria, a mandare in fumo eventuali matrimoni con stranieri poiché in tal caso il denaro confluirebbe nelle banche francesi.

Idea non nuova quella della banca, ma Michieletto la usa solo per il primo atto, in seguito l'ambientazione è collocata intorno ai primi anni '60, e sviluppa altre idee che francamente hanno poco convinto. Nel II atto invece della fastosa casa di una miliardaria ci troviamo in una balera di provincia, molto spoglia e triste, al confronto quelle della riviera romagnola dovrebbero essere state extra-lusso. Totalmente stravolto il finale atto III, nel quale al posto di Maxim e tutti i fasti che il mitico locale evoca, ci troviamo nel banale ufficio impiegatizio statale. Les grisettes entrano dalla finestra, come in un sogno, dopo una serata alticcia di Danilo, e spariscono con altrettanta facilità al risveglio del giovane e alla conclusione con lieto fine.

Bisogna innanzitutto affermare che lo spettacolo è molto curato in tutti i particolari, dei costumi ho detto, le scene sono meno efficaci di altre occasioni ma pur sempre di livello, gli spostamenti sia di massa sia dei singoli ben riusciti, i ballerini eccezionali con belle coreografie di Chiara Vecchi.

Eppure, questa edizione di Die Lustige Witwe era noiosa e spenta. L'operetta nasce come genere di fantasia, d'illusione, che in quest'occasione sono mancati. Inoltre, la consueta usanza di analizzare una drammaturgia in chiave psicoanalitica è del tutto fuori luogo in questo genere di lavoro musicale. Quello che manca è la magia di un momento storico, di ricordo, di sapore elegante, di un mondo perduto. La questione dei soldi è predominante, concordo, ma i sentimenti? L'amore? Elementi primari proprio nell'opera e nella musica stessa di Lehár. Non si possono ascoltare valzer, polke, mazurke, e danze polari dell'est europeo e vederle danzare a ritmo di rock e twist, come fossimo a una festa universitaria americana. Inoltre due fondamentali mancanze sono state quelle di eliminare nel III atto un'ambientazione fastosa del locale francese, l'ufficio bancario utilizzato era di disarmante inquietudine, e l'ingresso al primo atto di Hanna Glawari è un momento magico anche musicalmente, qui sprecato da una scena banale e confusionaria. Un momento di particolare suggestione c'è stato quando durante l'esecuzione della Vilja la protagonista prende una coppia di anziani e li fa ballare al centro della balera, commuovente e delicata situazione, ma nel complesso questo spettacolo annoia e non diverte, e un'operetta che non diverte è a mio avviso poco, se non del tutto, efficace.

Sul versante musicale le cose non sono andate meglio. A Stefano Montanari, direttore e concertatore, riconosciamo la fortissima personalità e una certa dose di originalità, non volendo seguire nessuna forma già stabilita sulla prassi esecutiva, però non per questo distaccato e alternativo in maniera inopportuna. Quello che contraddistingue la sua direzione è brio, freschezza, dinamismo, adattandosi a tutti gli elementi che compongono lo spartito con intensità rilevante ma soprattutto è trascinatore di vitalità. Molto ben preparato, anche scenicamente, il coro diretto da Claudio Marino Moretti.

Delude la protagonista, Nadja Mchantaf, la quale dimostra ottima attitudine scenica ma la voce è di limitato spessore, sovente coperta, molto aspra nel settore acuto e non rifinita nell'accento, nel complesso una prestazione molto mediocre. Molto più rilevante il Danilo di Christoph Pohl, cantante di buona pasta vocale, morbida, e funzionale in tutti i settori. Notevolmente ingessato nel suo ruolo di viveur , più avvezzo alle fatture di un impiegato statale, che poco si configura con il brillante personaggio.

Adriana Ferfecka è una Valencienne con voce appropriata e ben rifinita nelle sfumature e negli accetti del ruolo, tuttavia, il brio non è dei più funzionali. Più efficace scenicamente il Camille di Konstantin Lee, tenore con vocina leggera e timbro spento ma molto musicale. Ormai alla frutta Franz Hwalta, Barone Mirko Zeta, cui la pesantezza degli anni incide pesantemente sulla resa vocale.

Ottima invece la folta schiera di comprimari: Simon Schnorr, Cascada, Marcello Nardis, St. Brioche, Roberto Maietta, Bogdanowitsch, Martina Bortolotti, Sylvaline, William Corrò, Kromow, Zdislava Bockova', Olga, Nicola Ziccardi, Pritschitsch, Daniela Banasova, Praskowia, Alessandra Calamassi, Lolo, Mariateresa Notarangelo, Dodo, Rossella Contu, Jou-Jou, Alessandra Gregori, Frou-Foru, Chiara Lucia Graziano, Clo-Clo, Krizia Picci, Margot.

Molto bravo Karl-Heinz Macek, attore di rango tedesco, qui relegato a un ruolo di solo mino. I dialoghi, anche se eseguiti in lingua originale, sono ridottissimi e Njegus è un mimo-folletto, forse un “cupido”, che diventa un deus ex-machina della vicenda, inserendosi e influendo sul corso della divertente trama. È totalmente assente la figura del comico da sempre utilizzata. Seppur in coreografie non azzeccate, come sopraddetto, è doveroso menzionare i mirabili ballerini: Luigi Alloca, Gianluca D'Aniello, Manuel Ferrugia, Costantino Imperatore, Salvatore Maio, Filippo Tabbi.

Il pubblico, in maggioranza straniero, gremiva il teatro in ogni ordine di posto, e dopo una singolare freddezza iniziale al termine ha decretato un caloroso successo a tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

22/2/2018

Le foto del servizio sono di Michele Crosera-Teatro La Fenice.