Wozzeck
alla Scala di Milano
Trionfale conclusione della stagione operistica al Teatro alla Scala con la ripresa di Wozzeck composto da Alban Berg nello storico allestimento di Jurgen Flimm. Lo spettacolo andava a sostituire Fin de partie di Gyorgy Kurtag, rimandata al prossimo anno per problemi personali dell'autore. Alban Berg fu allievo di Schönberg e diventò sin dagli inizi un autorevole esponente del cambiamento musicale che si orientava verso la dodecafonia. Wozzeck, il suo capolavoro, resta una pietra miliare in tal senso: musica ed elevata teatralità, strutturato in forme classiche su di un materiale quasi verista di disfacimento e si distingue nel periodo musicale (1925) quasi alla deriva. Identificato nel dramma del soldato protagonista e della sua compagna Marie, pur basandosi sulla comune traccia dell'adulterio, assume posizioni del tutto inedite nel teatro moderno anni '20 con personaggi ai limiti della società che sviluppano le conseguenze della cattiva organizzazione di quest'ultima. La forma strumentale, ora come suite, passacaglia, marcia, è la cornice del canto declamato o Sprechgesang, pertanto una linea vocale dura e spigolosa nella quale l'orchestra suggerisce un'inquietante trasposizione della realtà. Peculiare che rispetto alla forma verista italiana o francese, quella di Berg è estremamente più agghiacciante, sviluppata anche in un'assurda morbosità. La tecnica dello Sprechgesang, della declamazione, è studiata ed elaborata in procedimenti dodecafonici, da cui molteplici riferimenti al grottesco, spietato, paralizzante, di protesta sociale. Tale protesta è una chiara rappresentazione della psiche umana che è subita dai personaggi pur in una visione ancora ottocentesca di classificazione tra “buoni e cattivi” piegati dagli eventi, anche se puniti e senza appello nella frustrazione.
Se si scorre l'elenco dei direttori che hanno diretto l'opera al teatro alla Scala, sin dalla contestatissima prima milanese del 1952 con Dmitri Mitropoulos, si evince immediatamente la continua prestigiosa scelta. Ingo Metzmacher, che abbiamo ammirato anche in Die Soldaten a inizio stagione, si deve ascrivere senza dubbio all'elenco. Eccelsa personalità di teatro, il maestro concertatore ha profuso una singolare sonorità allo spartito accentuando in particolare l'aspetto cameristico, graffiante e truce. Egli evidenzia il dettaglio evitando frastuoni spesso abusati. Accurato cesellatore, Metzmacher ha esposto una tavolozza di colore orchestrale e ritmico di assoluta rilevanza sia tecnica sia interpretativa, offrendo uno spettacolo di rilevante, per non dire magistrale, bellezza ed emozionante teatralità. Assecondato in tale concezione da un'orchestra in forma smagliante, soprattutto gli ottoni ma anche gli archi solisti, che si sono esibiti in una scena sul palcoscenico, e da un preciso Coro istruito da Bruno Casoni.
Azzeccatissimo il cast, cominciando dai due protagonisti, Michael Volle (Wozzeck) e Ricarda Merbeth (Marie). Bravissimi sotto l'aspetto teatrale, impressionante la resa dell'allucinato soldato, non sono stati da meno anche localmente, utilizzando una vocalità molto espressiva, puntuale e non risparmiandosi nelle difficili variazioni dodecafoniche della partitura. Roberto Sacccà era un Tamburmaggiore di spiccata sciatteria e ben rifinito nel canto, non meno autorevoli erano l'Andres di Michael Laurenz e lo straordinario e viscido capitano di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, quest'ultimo impressionante per lo stile e le varietà d'accento nello Sprechgesang. Molto bravi anche il Dottore di Alain Coulombe e la grintosa Margret di Marie-Ange Todorovich. Completavano con altra professionalità la locandina: Andrea Hor e Modestas Sedlevicius (i due garzoni), Rudolf Johann Schasching (il pazzo) e Sascha Kramer (un soldato), taluni di questi interpreti erano solisti dell'Accademia di Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala. Una menzione speciale per il piccolo Alberto Galli (figlio di Marie), il quale ha offerto una prova di assoluta bravura e una resa drammaturgica emozionante.
Lo spettacolo, firmato da Jurgen Flimm con scene di Erich Wonder e costumi di Florence von Gerkan, è una delle migliori realizzazioni del maestro tedesco, che nulla ha in confronto con la “caduta” estiva dell'Otello rossiniano. L'opera come di consueto si esegue in atto unico e la scena è delimitata da una sorta di parete concava, la quale rende forma alla conseguenzialità delle scene in modo efficace e molto drammatico. Scena unica ma volubile di forte impatto e costumi molto azzeccati, contribuiscono alla felice realizzazione. Una precisa e angosciosa caratterizzazione dei personaggi rende questo spettacolo imponente e di assoluta valenza teatrale, come un pugno nello stomaco, effetto probabilmente voluto dal regista, è il caso delle ultime parole del bimbo che mima il cavallino dopo che crudelmente gli amichetti lo informano che la madre è morta.
L'allucinato protagonista è sviluppato come uno zimbello alla mercé dei superiori, tutti gli interpreti sono all'altezza del ruolo, forse estremizzati ma ben rifiniti. La disagiata Marie è una donna anche in cerca del riscatto sociale che purtroppo resterà irraggiungibile, immersa e condizionata da un ambiente sociale che non le permette di voltare pagina. Memorabile!
Lukas Franceschini
17/11/2015
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano – Teatro alla Scala.
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