RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Die Zauberflöte

al Verdi di Padova

La stagione lirica al Teatro "G. Verdi", in collaborazione con il Teatro Sociale di Rovigo e Bassano Operafestival, si è aperta con una nuova produzione di Die Zauberflöte, curata da Federico Bertolani. Negli ultimi tempi ho assistito a diverse edizioni dell'opera mozartiana, e non sempre hanno convinto per non aver trovato il giusto equilibrio tra aspetto favolistico-fantastico e iniziazione morali e seri principi sociali, elementi imprescindibili che non possono essere ignorati. Altri percorsi troppo vicini alla psicoanalisi sovente si sono ingarbugliati autonomamente, anche se un approccio non banale e scontato nella pura narrazione fantastica è troppo limitato anche se rispettosamente identificativo.

Il regista Federico Bertolani sceglie una lettura in chiave moderna, idea non nuova, ma su un parallelo di sogno o realtà. Infatti, all'inizio assistiamo alla scena dell'aggressione di Tamino in un quartiere periferico di una metropoli americana, il protagonista cade svenuto e inizia il sogno nel mondo delle dottrine positive che lo porterà ad affrontare le prove per la formazione della sua vita. Idea molto bella, ma non sufficientemente sviluppata. Non è chiaro perché Pamina si trova a soccorrere in un primo momento Tamino, la figura estrema del senza tetto Pagageno, più azzeccato il personaggio di Monostasos, un poliziotto di quartiere, idea logora e abusata quella delle tre dame prostitute la cui Konig nel primo atto poteva essere loro maitresse. Il mondo di Sarastro, volutamente bianco, è ben rappresentato nella sua rettitudine identificato dal colore chiaro, come i pilastri posti ai lati della scena che potrebbero identificare la via maestra. La scena, piuttosto cruda e spoglia ma con cambi a vista attraverso pannelli apribili, è di Giulio Magnetto, il quale ha mano felice nella simmetria dell'allestimento, anche se i colori erano troppo monocromatici. Manierati e in tema con l'ambientazione i costumi di Manuel Pedretti. Resta lo spettacolo di Bertolani, che come predetto ha avuto un'idea originale (sogno) e avrebbe potuto funzionare benissimo se nel finale ci fosse stato un collante tra i due mondi, invece assistiamo al risveglio di Tamino che s'incammina con l'amata Pamina verso un mondo più consapevole e ordinato. A parte quest'impressione personale è uno spettacolo godibile, molto chiaro, che è stato molto apprezzato dal pubblico.

Buona la prova dell'Orchestra di Padova e del Veneto, abbastanza precisa e con soddisfacente sonorità. La bacchetta di Giuliano Betta è stata molto attenta al rapporto buca-palcoscenico, imprimendo una lettura molto incalzante, ora di ampio respiro, ora solennemente drammatica, anche se ogni tanto si è lasciato trasportare in sonorità eccessive, ma nel complesso la prova era positiva. Nel solco della routine, ma senza cadute rovinose, il Coro Lirico Veneto istruito da Sergio Balestracci.

Anche il cast nel suo complesso era attendibile, pur con i diversi distinguo. Fabrizio Paesano, Tamino, è un tenore in possesso di buoni mezzi, soprattutto nella zona centrale attraverso la quale e con un buon fraseggio tratteggia un protagonista convincente. Molto brava Ekaterina Sadovnikova, Pamina, dotata di voce squisitamente lirica, ricca di accenti e sfumature che lei applica a un'interpretazione emozionante e di grande levatura.

Wihelm Schwinghammer era un Sarastro solenne ma sfasato nei vari registri, pur possedendo una voce importante. La Regina della notte di Christina Poulitsi era sfavillante negli estremi acuti, fermi e ben timbrati, pertanto ha trionfato nella sua seconda aria, mentre nella prima, causa una zona centrale "vuota", la fatica e le lacune erano evidenti.

Il migliore del cast era John Chest, un Papageno mirabile sia per interpretazione scenica sia per un canto morbido, rifinito e assolutamente preciso. Validissima anche la Papagena di Teona Dvali, che ha sfoggiato un'ottima musicalità. 

Molto brave le tre dame, Alice Chinaglia, Cecilia Bagatin e Alice Marini, le quali hanno dimostrato un ottimo canto d'insieme, sempre intonato e preciso. Bravissimo Patrizio Saudelli, Monostatos, rifinito ed elegante cantante, impeccabile nei suoi interventi, un po' spento l'oratore di Paolo Battaglia, professionali i sacerdoti-armigeri di Carlo Agostini e Luca Favaron.

Una menzione particolare è necessaria per i tre fanciulli-geni Stella Capelli, Maria Gioia e Federico Fiorio, i quali hanno dimostrato una professionalità impressionante per aderenza stilistica e un canto uniforme e di gran classe. Non erano propriamente dei bambini ma ragazzi-cantanti in età matura, pertanto le due voci femminili, presumo, avranno modo di svilupparsi in un futuro promettente, mentre il ragazzo già dimostra qualità canore non comuni e spero di avere occasione di riascoltarlo presto. Essi sono membri dell'Accademia d'Arte Musicale di Verona diretto da Elisabetta Zucca, alla quale va un plauso riconoscente.

Alla recita domenicale alla quale ho assistito il teatro era gremito da un pubblico composto anche da molti bambini entusiasti, al termine tutta la compagnia ha ricevuto un applauso prolungato, convinto e meritato.

Lukas Franceschini

5/11/2016

Le foto del servizio sono di Lazio Rinaldi – Teatro Verdi di Padova.