A Santa Cecilia
Krystian Zimerman offre un Brahms profondo e comunicativo
Arduo è sapere se il giovane Brahms percepisse già chiaramente il sentore dei germi che minavano la sua epoca, e che in un futuro non troppo lontano si sarebbero manifestati con cruda evidenza. Colui che lo aveva esaltato agli occhi del mondo era precipitato nei vortici di una follia senza rimedio, e in quest'ottica secondo alcuni il Concerto in re minore per pianoforte e orchestra op. 15 guarda proprio alla morte prematura di Robert Schumann, suo indimenticabile mentore. La disgregazione di una coscienza eccellente sarebbe presto esplosa a un livello più generale, coinvolgendo gli orizzonti dell'Europa intera. Per questo ai nostri occhi Brahms non è tanto il ragazzetto efebico e talentuoso che si presentò a Schumann, quanto l'uomo corpulento e barbuto che sembra opporre la solidità formale quale baluardo contro l'inarrestabile declino. Il Concerto in re minore, presentato all'Accademia di S. Cecilia con Mikko Franck sul podio e Krystian Zimerman al piano, appare da questo punto di vista emblematico. Brahms voleva farne una sinfonia, ma ripiegò presto sull'idea del concerto solistico. Avrebbe in seguito trascorso circa venti anni in un tirocinio strumentale incessante, prima di affrontare con una nuova consapevolezza la forma sinfonica. L'op. 15 reca le tracce evidenti di questa decisione. Nella sua tragica irruenza il Maestoso iniziale richiama il mondo poetico di Christian Friederich Hebbel, solitario e colmo di dissidi spirituali, o quello di Theodor Storm, pervaso dal senso di un destino ineluttabile. L'Adagio successivo trasforma questo fervore in una calma ieratica che sfocia poi in un Rondò di stampo arcaico, che a Massimo Mila appariva addirittura anacronistico. Un lavoro eterogeneo che, nelle pieghe del romanticismo giovanile, mostra già alcuni caratteri del Brahms maturo. Zimerman è un grande solista e lo dimostra nella solidità delle arcate pianistiche, quando ad esempio lo strumento riceve il tema direttamente dall'orchestra e sembra competere con le sue sonorità, nel controllo impeccabile del suono, nella varietà coloristica e dinamica. Mikko Franck offre un'interpretazione perfettamente calibrata nei piani sonori, ma depurata della tragicità che caratterizza in particolare il primo movimento. Forse per questo il pianista polacco sovente si volta verso gli orchestrali, quasi a sollecitarne una maggiore aderenza emotiva. L'esecuzione cresce nei successivi due movimenti, con l'orchestra sempre attenta a seguire le oscillazioni emozionali dello strumento solista.
Zimerman, già protagonista di un recente recital sempre all'Auditorium, nonostante le richieste del pubblico decide di non concedere bis, forse per non disperdere la concentrazione e la tensione accumulatesi attorno alla colossale opera brahmsiana. Il controllo espressivo esibito da Mikko Frank diviene un pregio nella Sesta Sinfonia di Cajkovskij, opera sovente vittima di interpretazioni melense e animate da una isterica eccitazione nervosa. Il direttore finlandese riesce a veicolare il senso della tragedia di quello che Aldo Nicastro definisce “un atto di imponente discolpa”, senza sottolineare in maniera eccessiva i parossismi sonori e i momenti di travolgente ebbrezza. Ne risulta un quadro disperato, agghiacciante nel suo progressivo sprofondare nell'assoluto silenzio di un mondo in agonia.
Riccardo Cenci
15/6/2015
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