Convien partir!
Nonostante ormai più di un secolo di rivendicazioni femministe, che hanno certamente migliorato la condizione femminile, offrendo alla donna la concreta opportunità di sganciarsi dal suo ruolo di angelo del focolare, tanto decantato ma così tanto frustrante, qualora per angelo si intenda una poveretta rassegnata a vedersi sciogliere la vita tra faccende domestiche, parti, assistenza diuturna a figli, marito e consanguinei vari, ancor oggi le donne non riescono, tranne rare eccezioni, a vivere senza sensi di colpa il fatto di lavorare nel sociale, o più semplicemente di non alienarsi totalmente nella vita familiare, con conseguenze spesso deleterie per la loro psiche (leggi frustrazione, ansie varie, disturbi psicosomatici e varie). Se per un uomo è abbastanza semplice scindere la vita familiare da quella lavorativa, per la donna diventa o un carico doppio, o un motivo di colpevolizzazione, che si traduce molto spesso in un'ansia da prestazione con conseguente trasformazione della donna socialmente realizzata in una mamma iperapprensiva, che appena mette piede a casa si sente in dovere di farsi perdonare la sua assenza da figli e marito, con altrettanto conseguente strumentalizzazione di questo sentimento da parte dei familiari…
Tale condizione non può non generare disagio, e non c'è tanto da stupirsi che a buona parte delle donne, almeno una volta nella vita, sia venuto in mente di scomparire, fuggendo da tutto e da tutti, con un perfido demonietto in fondo al cervello che sussurra: “Voglio proprio vedere cosa faranno senza di me!”. Naturalmente su mille ne scompare una, al massimo due: personalmente, quando vedo certe barbone che si trascinano dietro i loro sacchi non posso fare a meno di pensare da cosa siano fuggite, e quanto la loro vita possa essere stata infernale per far loro preferire la strada, il freddo, l'assoluta povertà.
Senza arrivare a questi tragici eccessi di insofferenza esistenziale, Pierre Palmade e Christophe Duthuron hanno provato con Le Fuggitive, andato in scena al Brancati di Catania il 6 febbraio. ad imbastire un brillante atto unico su questa ipotesi: due donne si incontrano di notte su una statale, in attesa di un automobilista di buon cuore che dia loro un passaggio. Margot e Claude fuggono entrambe, ma profondamente diverso è il loro atteggiamento di fuga: infatti, se Margot fugge da un marito e da una figlia insopportabili e schiavizzanti, tirandosi però dietro tutta una serie di angosce e sensi di colpa, simbolizzati dalle pesanti valigie che si trascina dietro cariche di cose inutili, ricordi di un passato sentimentale nel quale crede solo lei, Claude è una vispa e arzilla vecchietta, che nella sua vita se ne è sempre tranquillamente strafregata di tutto e di tutti, e che fugge da una casa di riposo nella quale il figlio è finalmente riuscito a piazzarla.
Ma sarà Claude ad aiutare Margot a scrollarsi davvero di dosso le sue frustrazioni di casalinga, i suoi sensi di colpa, i suoi rimpianti, esortandola a vivere, a vedere il buono in ogni momento della loro avventura, contagiandole il suo senso quasi onnivoro della vita, sino alla scena finale, nella quale sarà Margot, finalmente libera dalla se stessa di un tempo, ad andare a riprendere l'amica per coinvolgerla in un lunghissimo viaggio in camper. Scintillante e veloce, la commedia ha dato modo a Debora Bernardi e ad Alessandra Cacialli di mostrare tutte le loro doti attoriali: nel ruolo di Margot, la Bernardi è riuscita a rendere con estrema veridicità il personaggio della casalinga frustrata e delusa da tutto, mutando il punto di vista col procedere della pièce, fino alla liberazione finale. Ilare e triste, nostalgica e arrabbiata, ha cesellato senza esitazione una figura femminile in fieri, rendendo quasi palpabile l'allentarsi graduale dei legami che avvinghiano la Margot ancora madre e moglie dell'inizio della commedia, che rivive piano piano tutta la sua esistenza, fino a comprenderne, verso la fine, tutta la sconsolante assurdità.
Alessandra Cacialli si è mossa con sovrana disinvoltura nel personaggio della vecchia Claude, senza un attimo di cedimento, prestando la sua mimica eccellente ad un personaggio disincantato ma ancora pieno di gioia di vivere, di voluttà di esistere. Sia che si piegasse al ruolo di spalla, sia che emergesse in assoluto primo piano, strappando calorose risate ed applausi al pubblico, è riuscita a dominare la scena momento per momento, ma sempre con grande misura, dizione perfetta e senza mai scadere nel caricato o nel grottesco.
La regia di Nicasio Anzelmo, scarna ed essenziale, ha valorizzato, grazie anche all'impianto scenico perfettamente funzionale e veloce di Jacopo Manni, una recitazione di ottimo livello, rara ormai nei nostri teatri, che è riuscita non solo a coinvolgere il pubblico, ma anche a rendere inavvertite certe debolezze del copione, che in mani meno esperte avrebbero inficiato il successo della rappresentazione.
Giuliana Cutore
10/2/2014
Le foto del servizio sono di Giuseppe Messina.
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