Notte segreta
Rossana Veracierta ed Emanuela Trovato.
«Mettete un uomo in una foresta, diventerà feroce; in un chiostro, dove l'idea di necessità si associa a quella di schiavitù, è ancor peggio. Da una foresta si può uscire, non si esce da un chiostro; nella foresta si è liberi, nel chiostro si è schiavi. Occorre forse maggior forza d'animo per resistere alla solitudine che alla miseria; la miseria avvilisce, la clausura deprava…» Con queste parole Denis Diderot delineava ne La monaca, storia in forma di denuncia di una giovane donna costretta a monacarsi, la spaventosa realtà, almeno agli occhi di un laico amico dell'umanità, dei conventi, luoghi dove la vita viene sistematicamente avvilita e negata, l'umanità deturpata e sconciata, Dio ridotto a carceriere, a ipocrita mostro idiota che ha dato all'uomo la gioia di vivere, la sessualità, e soprattutto la libertà, per costringerlo a rinunciarvi, condannandolo ad una sofferenza senza fine, in nome di una beatitudine che grida vendetta sull'altare della Vita, perché «… è indubbi, che su cento suore che muoiono prima di aver toccato la cinquantina, esattamente cento si dannano», scrive ancora Diderot, «per non dire di quante nel frattempo diventano pazze, scimunite o furiose».
L'esistenza dentro le mura di un convento è un inferno, dove la Vita avvilita e deturpata si vendica istante per istante, in uno spaventoso stravolgimento della ragione e dei sensi: l'odio per la consorella si tramuta in ipocrita affetto per la sua anima, la delazione si eleva a virtù, la sporcizia ad angelico disprezzo di sé, la sessualità si storpia e trova vie traverse, in una omosessualità diffusa, mentale e fisica, che nulla ha però a che spartire con il reale e possibile amore che può nascere fra due persone dello stesso sesso.
La Vita, costretta a convivere con la Morte, e con gli aspetti più ripugnanti della morte, si incancrenisce in uno sterile stato vegetativo, dove la giovinezza si fa vecchia e la vecchiaia infanzia deprivata e depravata, in un gioco che nulla ha più d'umano, e da cui il Dio di pietà deve ritrarsi inorridito, come gli antichi dei si ritraevano inorriditi dalla bruttezza e dalla lordura morale degli uomini.
Un'esistenza negata, quella delle monache, che ha dato vita a personaggi letterari tutti venati da una sottile crudeltà, quasi a evidenziare la normale reazione di una psiche che, costretta a seguire percorsi tortuosi, inconfessabili a se stessi e agli altri, non trova altra via d'uscita se non in un sovvertimento aberrante dei sentimenti che nulla ha più di cristiano.
A questa tentazione letteraria non è sfuggito Francesco Randazzo, che nel suo Notte segreta, andato in scena al Musco dal 3 al 6 aprile, ha dipanato un suggestivo pas de deux femminile di nostalgia, ricordi, orrori, tentazioni; protagoniste due novizie, in una Sicilia barocca dove i terrori della Controriforma raggelano la loro esistenza in una condanna al contemptus mundi, Conforto e Assunta si trovano costrette ad una veglia di meditazione a due suore defunte, i cui cadaveri, profumati perché morte “in odore di santità”, campeggiano simbolicamente su una scena costituita da catafalchi, due dei quali recano una sorta di velamen che nasconde ciascuno un cadavere in via di mummificazione.
Eros e Thanatos danzano così fino all'alba, in un susseguirsi di ricordi e tentazioni, itinerarium mentis in diabolum, non in Deum, che non sfugge a nessun passo iniziatico, dall'estasi mistica a quella carnale, in una tentazione omosessuale sognata, vissuta e perdonata perché rimossa, nel rammentare le vicende, fisicamente violente e non, che le hanno condotte al chiostro, in un ultimo canto della vita sconfitta dalla società, dall'esser donne e infine dalla religione. Conforto e Assunta proseguono verso l'alba, tra pause di sonno dove la coscienza si annienta inorridita: ridono, e fanno ridere, ma è un riso velenoso, sarcastico, amaro, è come la risata della Morte trionfante. Infine, quando già sorge il sole, la coscienza di entrambe si slarga in un'illuminazione finale: le monache morte sono loro stesse, come reincarnazioni successive in un eterno ritorno dell'eguale, mistiche per forza, peccatrici per necessità, vittime sempre, o almeno finché il debole sarà oggetto di violenza.
Un lavoro dalle forti implicazioni, brutalmente dissacratorio in certi passaggi, ma vero e autentico nella misura in cui coglie i nodi essenziali del dramma della monacazione forzata. La regia, dello stesso Randazzo, si è sforzata di seguire il testo nella sua doppia dinamicità, verbale e mentale, rimarcando e seguendo, grazie alla bravura mimica e vocale di Emanuela Trovato e Rossana Veracierta, i singoli gradi di quella lenta e dolorosa comprensione alla fine della quale sarà Thanatos a stringere nel suo venefico abbraccio un Eros spaurito, preda di rimorsi, ormai solo animato da una cieca volontà di morte.
Giuliana Cutore
8/4/2014
La foto del servizio è di Federico Riva.
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